Savino Francisco Bonito
Il padre, anarchico e schedato come tale dal 1910, dopo la Prima guerra mondiale aveva organizzato le lotte dei contadini della sua terra e, fino al 1925, fu dirigente locale del Partito socialista unitario. Costretto a espatriare in Francia, in Belgio e in Germania, il padre di Savino tornò in Italia nel 1934. Fu subito arrestato e rinchiuso nel carcere di Foggia. Ciò non intimorì Savino che, anzi, già al ginnasio, avrebbe cominciato a svolgere una pericolosa attività di propaganda antifascista, che avrebbe proseguito al liceo.
Chiamato alle armi, il giovane, l'8 settembre 1943, si trovava a Rosignano Solvay (Livorno), come sottotenente di artiglieria contraerea della Marina. Rifiutando di combattere con i tedeschi nell'esercito della RSI, si diede alla macchia con molti suoi commilitoni, non prima di aver consegnato agli antifascisti di Livorno cassette di bombe a mano e di munizioni. Combatté poi sui monti intorno ad Arezzo, nelle file della 118ma Brigata Garibaldi "R. Servadei".
Dopo la Liberazione, Savino Francisco Bonito è stato giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, corrispondente de l'Unità da Bari e poi, trasferitosi a Roma, ha lavorato per l'Agenzia Italia e per la RAI.