Timoteo Bernardini
Militante, dalla sua fondazione, del PCdI, Angiolino, come veniva familiarmente chiamato, fu attivo antifascista nella zona dei Castelli Romani. Nel 1924 il suo primo arresto, il processo dinnanzi al Tribunale speciale e l'amnistia. Ma già il 3 dicembre 1926, di nuovo processato dal Tribunale speciale, Bernardini prendeva la strada del confino di polizia. Favignana, Ustica, Ponza le tappe per questo "elemento pericoloso per l'ordine nazionale dello Stato". Nel dicembre del 1929 "Angiolino" torna a Genzano, ma giusto per essere richiamato alle armi e venire spedito a Bengasi, dove è di stanza il 21° Gruppo Automobilistico.
Tornato in Italia, Bernardini si trasferisce a Roma, dove gestisce una trattoria, che l'8 settembre 1943 si trasforma in una base della Resistenza. Dalla trattoria partono molte azioni dei GAP romani, sino a che, nella primavera del 1944, Timoteo Bernardini è catturato dagli sgherri della banda Koch. Sottoposto a terribili torture, nel timore di lasciarsi sfuggire informazioni, tenta il suicidio tagliandosi le vene dei polsi. Portato in ospedale, "Angiolino" riuscirà a salvarsi.
Nel dopoguerra ha continuato la sua militanza nel PCI.