Ugo Ferrero
Fu tra i pochi generali italiani che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, opposero resistenza ai tedeschi. Ferrero era il comandante di un corso dell'Accademia militare di Modena, dislocato a Sassuolo; quando le SS della Divisione "H. Goering", sopraffatto un piccolo presidio, si diressero verso il Palazzo Ducale, il generale ordinò che si aprisse il fuoco. Dopo due ore di combattimento e dopo aver avuto tra i suoi soldati un morto (Ermes Malavasi) e una ventina di feriti, Ferrero dovette arrendersi. I tedeschi concessero l'onore delle armi, ma lo deportarono in un campo di concentramento in Polonia. A Schelkown il generale si ammalò gravemente. Quando gli offrirono di tornare in Italia per essere curato, a condizione che giurasse fedeltà alla repubblica di Salò, Ugo Ferrero rifiutò sdegnosamente. Dopo mesi di prigionia e di patimenti, quando le unità dell'Armata Rossa stavano per raggiungere il lager, i tedeschi si diedero alla fuga, trascinando con loro gli ufficiali italiani prigionieri. Ferrero era tra questi. Debilitato dalla malattia e dalle privazioni, il generale non era in grado di camminare e, come ebbe a scrivere il generale Ilio Muraca, Ferrero fu ucciso a poca distanza da Schelkown con altri ufficiali Prima di essere abbandonato sulla strada ghiacciata ed essere abbattuto a fucilate da una SS, dopo che la colonna di prigionieri aveva ripreso la marcia, Ferrero, dopo essersi passata una mano sul viso per liberarlo dai ghiaccioli che gli coprivano gli occhi e la bocca disse: «Non posso più camminare, ho il piede gonfio, le gambe non mi reggono. Conosco la sorte che mi attende; raccontate a mia moglie come sono morto». Poi si accasciò nella neve, mentre un commilitone lo esortava ad avere fede in Dio e sperare che la scorta lo avrebbe lasciato lì, senza fargli del male. Il corpo del generale Ferrero non fu mai ritrovato.