Vittorio Saltini
Luminosa figura d'antifascista, Vittorio Saltini dedicò tutta la vita alla lotta per la libertà e per l'emancipazione dei lavoratori. Nato in una famiglia di mezzadri socialisti, Vittorio aveva frequentato soltanto la terza elementare. Perduto un occhio in un incidente, non era più andato a scuola, anche per sottrarsi al dileggio degli altri bambini che, con cruda espressione dialettale, avevano preso a chiamarlo el Bugh (cariato in un occhio). Nel 1921 Vittorio, con altri suoi familiari, aveva aderito al Partito comunista e i Saltini divennero così protagonisti della resistenza attiva contro gli squadristi della zona. Per questo, nel 1926, il giovane contadino fu costretto ad allontanarsi dal suo paese. Lavorò a Milano e a Genova, per poi tornare a Correggio nel 1927, quando gli fu affidata la responsabilità del Comitato clandestino del P.C. d'I. per tutta la Bassa reggiana. Restò nella sua terra tre anni, poi dovette di nuovo allontanarsene per sfuggire all'arresto. Espatriato in Francia e poi a Mosca, nel 1932 tornò in Italia, lavorando alla costituzione del partito comunista clandestino nel Reggiano e in altre province dell'Italia settentrionale. Si trovava a Padova quando, era il 1934, fu costretto a riprendere la via dell'esilio. Rimasto alcuni mesi in Francia, tornò di nuovo in Italia, nonostante la sua mutilazione lo rendesse facilmente identificabile. Infatti, il 30 novembre del 1934, Saltini finì nelle mani della polizia. Poco più di un anno dopo, il processo dinanzi al Tribunale speciale e la condanna a venti anni di reclusione. Il contadino antifascista resta nel carcere di Fossano per quattro anni, ma è considerato un irriducibile, perché non rinuncia all'attività di formazione culturale e politica dei compagni di detenzione. Ciò gli vale il trasferimento a Portolongone, di dove esce soltanto con il crollo del regime fascista. "Toti", come lo chiamano i compagni e gli amici, dopo l'8 settembre 1943 assolve importanti incarichi politici e militari nella zona compresa tra la via Emilia e il Po. Nel 1944 è, contemporaneamente, segretario della Federazione comunista di Reggio Emilia e commissario politico di quel Comando piazza. Principale animatore delle formazioni partigiane della pianura (la 37a GAP sarà poi chiamata col suo nome), Saltini prende anche parte di persona ad alcuni fatti d'arme. "Toti" perde la vita per il desiderio di rivedere i familiari. La sera del 24 gennaio 1945 ha tenuto una riunione del Comitato federale del PCI e il giorno dopo ha un appuntamento a San Michele di Bagnolo. La strada passa poco lontano dalla casa colonica del fratello Adalciso, a Fosdondo di Correggio. "Toti" decide di passare a salutare i suoi e non sa che i fascisti lo stanno aspettando. Quando Saltini s'accorge di essere caduto in trappola, fa in tempo a distruggere il verbale della riunione tenuta la sera prima e tenta di fuggire passando per il fienile. È crivellato di colpi. Sono le otto del mattino. Nel pomeriggio, una sua sorella - Vandina, staffetta partigiana appena rientrata da una missione - arriva alla casa colonica. La ragazza vede il cadavere del fratello e si scaglia contro i fascisti, che sono rimasti sul posto, gridandogli: "Vigliacchi, assassini, carogne". Anche Vandina viene eliminata con due colpi di pistola alla testa.