Alma Vivoda
Amabile all'anagrafe, Alma per gli amici, Maria nella clandestinità, la Vivoda iniziò assai presto l'attività antifascista, anche perché "La Tappa" - la trattoria di Muggia di proprietà del padre - era diventata punto di riferimento per gli antifascisti della zona. Quando le autorità fasciste, negli anni della più dura repressione, imposero la chiusura dell'esercizio, Alma e il marito Luciano Santalesa (anch'egli militante comunista), si dedicarono completamente alla lotta per la libertà. Affidato ad un collegio di Udine il figlio Sergio, Alma e Luciano scelsero la clandestinità. Maria divenne una delle dirigenti più attive dell'organizzazione "Donne Antifasciste", assicurando i collegamenti tra l'antifascismo triestino e le formazioni partigiane dell'Istria. Quando il marito fu arrestato e fu ricoverato, per le sue precarie condizioni di salute, sotto sorveglianza in un sanatorio, Maria ne organizzò l'evasione. Era la primavera del '43 e Luciano Santalesa, aiutato dalla moglie, riuscì a raggiungere i partigiani istriani; combattendo con loro sarebbe caduto qualche mese dopo, pochi giorni prima che anche la moglie morisse dopo uno scontro a fuoco. Alma, nonostante avesse frequentato soltanto le elementari, era una donna di vivida intelligenza. Attenta ai problemi dell'emancipazione femminile e dell'internazionalismo, aveva promosso la diffusione della stampa clandestina ed era arrivata a curare di persona la redazione del foglio "La nuova donna". Anche per questo Alma era braccata dalla polizia fascista, che aveva posto sulla sua testa una taglia di 10.000 lire dell'epoca. Il 28 giugno del '43, la giovane donna, durante una missione alla Rotonda del Boschetto (Trieste), fu riconosciuta da un carabiniere che, fingendosi amico, aveva frequentato "La Tappa" di Muggia. Nello scontro a fuoco che ne seguì, Alma fu ferita alla tempia. Trasportata all'ospedale, vi spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, che era stata catturata insieme a lei e che era stata ferita più leggermente. All'indomani della morte di Alma Vivoda, il nome della prima donna italiana caduta nella Resistenza fu assunto da un battaglione autonomo della 14a Brigata Garibaldi "Trieste" (Divisione Garibaldi "Natisone"), composto da partigiani italiani, sloveni, russi, da marinai romagnoli e da diverse compagne di lotta di "Maria". Dopo la Liberazione, ad Alma Vivoda sono stati intitolati il Circolo di cultura popolare di Santa Barbara (Muggia) ed una strada di Chiampore. Nel 1971, nel luogo dove Alma fu colpita, è stato eretto un monumento a suo ricordo.