Ennio Radina
Ennio Radina – che nei periodi in cui non era sotto le armi, per la leva o per i richiami, lavorava col padre, titolare di un'azienda edile – si trovava al momento dell'armistizio in Jugoslavia, come sergente degli alpini. Dopo l'8 settembre, riuscì a rientrare fortunosamente in Carnia, a collegarsi al movimento della Resistenza e ad entrare nelle file partigiane. Con il nome di "Barba", Radina divenne comandante del Battaglione Garibaldi "Friuli", poi del Battaglione "Cristofoli" e quindi della Brigata "Val But". Nell'inverno del 1944, nella Carnia occupata dai cosacchi che operavano agli ordini del comando tedesco, la base di svernamento della formazione di "Barba" fu individuata dal nemico. I partigiani, circondati, non accettarono l'offerta di resa e impegnarono il nemico. Nello scontro Radina fu gravemente ferito e catturato. Ricoverato all'ospedale di Tolmezzo, "Barba" sopravvisse grazie alla sollecitudine dei medici e degli infermieri, ma quando fu finalmente in grado di reggersi in piedi i nazifascisti lo prelevarono e lo tradussero nelle carceri di Udine. Qui "Barba" fu a lungo torturato, ma dalla sua bocca non uscì nessuna informazione utile. A poche settimane dalla Liberazione, il comandante partigiano fu condannato a morte e fucilato con altri ventinove compagni. Poco prima di morire, Ennio Radina riuscì a mandare una lettera alla moglie. Le ricordava che dava la vita per quella Patria che la sua bambina, ancora in tenera età, avrebbe dovuto amare come l'aveva amata suo padre.