Pietro Amato Perretta
Figlio di un garibaldino, si era laureato in Legge, nel 1908, a Napoli. La sua carriera di magistrato, iniziata come uditore giudiziario nel capoluogo partenopeo, si sviluppò tra Locorotondo (Bari), Conselve (Padova) e il Consiglio centrale dell'Associazione dei magistrati, dal quale uscì nel 1920, quando cominciarono le infiltrazioni fasciste.
Perretta, che aveva partecipato come capitano dei bersaglieri alla Prima guerra mondiale, guadagnandosi una Medaglia d'argento al valor militare, nel 1921 fu giudice presso il Tribunale di Como e, nel 1924, fece approvare a una assemblea di magistrati lombardi un documento per l'indipendenza della Magistratura. Ciò gli valse, l'anno dopo, il trasferimento per punizione a Lanciano (Chieti). Perretta si appellò allora a Vittorio Emanuele III e, vistosi negare giustizia, si dimise da magistrato.
Tentò di intraprendere a Como la professione forense, ma i fascisti ne ottennero la sospensione dall'Albo, gli devastarono lo studio, lo arrestarono due volte e, nel 1926, lo confinarono a Laurenzana. Al confino seguirono 3 anni di vigilanza speciale e, nel 1936, Perretta (che era stato pure sospeso dal grado di capitano), fu costretto anche a rinunciare alla professione di avvocato.
Gli fu inoltre praticamente impedito di passare a un'attività nell'industria, che nel 1941 dovette abbandonare, proprio mentre gli giungeva la notizia che un figlio, Fortunato, era caduto sul fronte albanese e che un altro figlio, Giusto, era stato fatto prigioniero. Anche la deportazione in Germania di un terzo figlio (Lucio, ufficiale dei granatieri), non indusse Perretta a rinunciare al suo impegno di democratico, che lo aveva portato, a Como, a costituire la "Lega insurrezionale Italia Libera".
La caduta di Mussolini lo vide partecipe dell'attività per ricostruire le organizzazioni democratiche della provincia e il 9 settembre, il giorno dopo l'annuncio dell'armistizio del 1943, fu il non più giovane magistrato a parlare al popolo comasco in piazza Duomo. Con l'occupazione tedesca Perretta, troppo conosciuto, dovette spostarsi in Toscana e qui, da Peccioli (Pisa), mantenne i contatti con le forze antifasciste di Firenze e Ancona.
Nel febbraio del 1944, per Perretta l'adesione al Partito comunista, il trasferimento a Milano e un importante incarico nel Comando generale delle Brigate Garibaldi, per il quale assolse delicate missioni in Lombardia e in Piemonte. Sorpreso nel suo alloggio clandestino milanese da elementi delle SS e della "Muti", la sera del 13 novembre 1944 Perretta tentò di sottrarsi alla cattura; fu fermato da una raffica di mitra alle gambe.
Trasferito all'ospedale di Niguarda, chiese ai medici di non essere operato, per non dover poi sottostare a interrogatori che avrebbero potuto portarlo a rivelare dati sensibili sulla Resistenza. Sempre sorvegliato a vista dai fascisti, spirò dopo tre giorni nel nosocomio.
All'indomani della Liberazione, una piazza di Como è stata intitolata all'eroico magistrato. Nel 1948, antifascisti ed ex partigiani comaschi hanno posto nella stessa piazza una lapide; l'epigrafe, dettata da Libero Bigiaretti, dice: "A Pier Amato Perretta/ Magistrato-Avvocato/ Garibaldino Martire della Libertà/ 24 febbraio 1885-15 novembre 1944/ Andava per le case/ a svegliare nell'uomo la coscienza dell'uomo./ Viveva braccato dai/ fascisti perché voleva/ la lotta che conduce/ alla pace, per questo/ fu ucciso a tradimento/ ed ora vive in milioni/ di uomini".
Nel 1976 un'altra lapide è stata posta a Como, in memoria di Perretta, nell'atrio del Palazzo di Giustizia, per iniziativa del Comitato unitario antifascista. Porta il nome del magistrato anche il locale "Istituto di Storia Contemporanea".