"IL PACCHETTO SICUREZZA: UNA DERIVA POLIZIESCA E REPRESSIVA CHE IGNORA LA PREVENZIONE"
Il cosiddetto “pacchetto sicurezza” recentemente approvato dal governo conferma la deriva di una visione poliziesca e repressiva dell’ordine pubblico, ignora qualsiasi politica di prevenzione dei reati, colpisce le fasce più disagiate e criminalizza i conflitti sociali.
Questo orientamento era visibile nei precedenti decreti: il provvedimento anti-rave, che introduce una fattispecie di reato con pene elevatissime rispetto a un marginale fenomeno giovanile; il decreto Cutro, che criminalizza ulteriormente il fenomeno migratorio; il decreto Caivano, che prevede l’arresto in flagranza del minore in caso di spaccio, il Daspo urbano per i quattordicenni, il carcere per i genitori i cui figli non vadano più a scuola, l’aumento dei casi di custodia cautelare in carcere per i minori.
Col “pacchetto sicurezza” si introduce il Daspo urbano per reati diversi dalle manifestazioni sportive limitando il diritto di libera circolazione, si cambia in facoltativo il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte e madri di bambini fino a un anno di età con l’evidente scopo di colpire le donne rom, si introduce il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”, che incrementa la pena già prevista per l’occupazione di terreni o edifici.
Inoltre si inaspriscono le pene per l’accattonaggio, si aggravano quelle per i reati di minaccia, violenza o resistenza a pubblico ufficiale, si introduce una fattispecie aggravata di reato in alcuni casi per chi imbratta beni adibiti a funzioni pubbliche col chiaro intento di criminalizzare una nuova modalità di protesta ambientalista, si introduce il delitto di rivolta in istituto penitenziario includendo anche la “resistenza passiva all’esecuzione degli ordini impartiti” e analogamente si sanzionano disordini che potrebbero verificarsi nei CPR, si autorizzano gli agenti di pubblica sicurezza non in servizio a portare senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza. Si torna poi a penalizzare il blocco stradale, provvedimento che richiama immediatamente l’attacco al diritto di sciopero e le palesi intimidazioni nei confronti dei lavoratori in lotta di cui si è reso recentemente protagonista il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti.
Si tratta di un insieme di provvedimenti che introducono nuove fattispecie di reato o che incrementano le pene per reati già previsti dall’ordinamento giuridico; eppure l’esperienza dimostra che all’inasprimento delle sanzioni penali non corrisponde una diminuzione della criminalità ma solo un aumento abnorme della popolazione carceraria. C’è un chiaro segno discriminatorio nel “pacchetto” che colpisce tendenzialmente donne rom, detenuti, migranti, lavoratori in lotta, ambientalisti. A conferma del carattere di classe e repressivo del pacchetto, nulla è previsto per i reati dei cosiddetti “colletti bianchi”, mentre si manovra per l’abrogazione del reato di tortura derubricandolo come aggravante comune.
Nella sostanza – e questo aumenta il tasso di preoccupazione - si trascurano i principi costituzionali, fra cui la rieducazione del condannato, la protezione e la tutela della maternità e dell’infanzia, la rimozione delle cause delle diseguaglianze sociali, la libertà di circolazione e di soggiorno.
Per queste ragioni l’ANPI condivide le preoccupazioni espresse da tanta parte della società civile e fa proprio l’appello dei garanti delle persone private della libertà, affinché il Parlamento modifiche strutturalmente il “pacchetto sicurezza” al fine di far prevalere la cultura della legalità con percorsi educativi e pene commisurate al reato, che siano certe ed efficaci nella loro funzione rieducativa e per il reinserimento sociale.
Le grandi manifestazioni contro la violenza alle donne svoltesi nei giorni scorsi confermano che il fondamento di una società più sicura passa attraverso la crescita della partecipazione dei cittadini, del ruolo dei sindaci, della capacità di accoglienza delle città, in sostanza del crescere della vita comunitaria. La sicurezza non può essere sinonimo di repressione, ma, senza trascurare l’aspetto sanzionatorio, si deve in primo luogo operare per la prevenzione e la prossimità, al fine di incidere sulle cause del malessere sociale e delle conseguenti forme di criminalità.
LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI
Roma, 29 novembre 2023