Umberto Leo
È appena sedicenne Umberto Leo quando nel 1942, in piena guerra, decide di arruolarsi in Marina per poi passare alla guardia di Finanza. «Tanti come noi, imbevuti della propaganda fascista, partirono per sostenere il regime ma poi sul campo di battaglia capirono come stavano le cose e fecero la loro scelta, quella giusta», spiegava lui stesso alle nuove generazioni di antifascisti. Destinato a Cogne (dove più tardi nascerà una Repubblica partigiana) per vigilare sul confine con la Francia, nel settembre ’43 è di stanza a Lanzo Torinese.
Con l’armistizio sceglie subito di entrare nelle prime formazioni armate di ribelli e col nome di battaglia “Leos” combatte contro l’occupante e i fascisti saloini. Quando la Resistenza in Piemonte riesce a strutturarsi e organizzarsi, Leo confluisce nella XIX Brigata Garibaldi “E. Giambone” compiendo sabotaggi e azioni che gli varranno la qualifica di Partigiano combattente dal 1° maggio ’44 al 7 giugno ’45 e tre Croci al Merito di Guerra. Nei giorni della Liberazione, infatti, è in ospedale gravemente ferito a un polmone per l’esplosione di una granata, scampato alla morte grazie a un contadino che lo aveva portato a casa sua in fin di vita e avvertito i partigiani.
Leo è uno dei 749 combattenti della libertà di origine salentina e, tornato nella città d’origine, con Enzo Sozzo – tra i conterranei, uno dei più celebri partigiani – fonderà la sezione ANPI di Lecce, divenendone segretario e in seguito Presidente onorario. Le sue memorie sono state affidate a un’intervista-documento realizzata dagli Archivi della Resistenza locali. Attivo e deciso fino all’ultimo giorno della sua vita, Umberto Leo non è mai mancato alle celebrazioni del 25 aprile: a Lecce lo ricordano in tanti col fazzoletto dell’ANPI, gli occhiali da sole, appoggiato a una stampella e sorretto dai familiari, commuoversi per l’applauso della sua gente al passaggio del gonfalone dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.