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L'azione educativa dell'ANPI

L'AZIONE EDUCATIVA DELL'ANPI

PER LA FORMAZIONE DEI CITTADINI DENTRO E FUORI LA SCUOLA

Gianfranco Pagliarulo, Università di Firenze, 10 maggio 2021

Mi è capitato di recente di partecipare ad un dibattito in cui un giovane iscritto all'Anpi ha sostenuto che in una parte rilevante delle nuove generazioni non c'è necessariamente un giudizio negativo o positivo sulla resistenza, ma semplicemente la registrazione di un fatto storico, lontano nel tempo, estraneo alla vita, insomma completamente freddo. Naturalmente in altra parte dei ragazzi di oggi c'è una forte sensibilità civile e democratica, mentre altra parte ancora subisce più o meno il fascino, diretto o indiretto, delle idee di tipo fascista. Eppure mi pare che prevalga il dato dell'indifferenza, della registrazione del passato, analogamente allo studio di Napoleone o dell'impero romano.

Questa distanza temporale e per così dire psicologica con cui viene vissuto da tanti ragazzi il tempo della resistenza mi ha colpito. Quando avevo vent'anni, era il 1969, vivevo la resistenza – e con me tanta parte della mia generazione – come un mito fondativo. In quegli anni, al di là delle dinamiche ideologiche e delle scelte politiche, era messo a valore il fatto che la Repubblica costituzionale nasceva su dei miti delle origini, che si incarnavano nei simboli, perché c'è sempre un rapporto fra mito e simbolo: fra gli altri il 25 aprile come il simbolo della Liberazione; i sette fratelli Cervi; più in generale, la Resistenza. La natura di questi miti delle origini non era misterica, iniziatica, magica, come quella del fascismo e del nazismo: la nascita di Roma, Romolo e Remo, oppure la razza ariana che sarebbe la diretta discendente biologica del popolo indoeuropeo di alcuni millenni prima di Cristo. La natura del mito repubblicano è razionale, storica, critica e sociale. Specifico sociale, perché l'Italia del dopoguerra aveva assoluta necessità di ricostruire la sua coesione, il senso stesso di essere una nazione, un popolo, uno Stato.

Lo strumento attraverso cui permaneva questo mito fondativo era la memoria. Erano vivi decine di migliaia di partigiani, una grande parte dei nomi più prestigiosi. Certo, il racconto di quella storia in quel tempo aveva punte agiografiche oggi superate. Eppure quella memoria consentì una vera, propria e forte connessione sentimentale con la resistenza.

Oggi non solo sono passati più di 75 anni, ma il mondo in cui viviamo è cambiato profondamente, radicalmente, per alcuni aspetti antropologicamente. In questo nuovo mondo è prevalsa in occidente un'idea generale di governo come amministrazione di un presente che per questo tendenzialmente non cambia. In questa visione il passato perde senso ed il futuro non presenta aspettative, se non nell'ambito della pura gestione dell'esistente.

Fra le tante cose cambiate si afferma a ragione che viviamo il tempo della fine delle grandi narrazioni, cioè delle filosofie della storia che hanno caratterizzato il 900, ed ancora di soggetti collettivi che si muovevano in una data direzione, e che in tale movimento scoprivano o costituivano una propria identità. Ciò ha comportato di conseguenza l'estinzione o la trasformazione delle ideologie dei due secoli trascorsi, come il passaggio dal liberalesimo al liberismo, dal nazionalismo al sovranismo, dal razzismo al suprematismo, ed anche la nascita di nuove visioni del mondo – penso all'ambientalismo. Questo è avvenuto nella simbiosi spesso confusa e pasticciata di antiche distinzioni – fra cultura alta e cultura popolare, fra cultura e spettacolo, per alcuni aspetti fra arte e pubblicità - con l'elemento dirompente del web e dei social che hanno proposto nuovi codici linguistici e un nuovo rapporto con la conoscenza.

In questo gigantesco rivolgimento non mi pare che ci sia attualmente il rischio di un ritorno sic et simpliciter del fascismo storico, ma c'è una grave emergenza ed una profondissima inserzione di valori e codici di tipo fascistico nelle culture di destra e di estrema destra contemporanea, molti dei quali sono mutuati – queste sì – da organizzazioni propriamente fasciste, come CasaPound e Forza Nuova, solo per esempio. Noto per inciso che una caratteristica relativamente nuova di tali organizzazioni propriamente fasciste è che non si riferiscono più soltanto alla cultura del ventennio, ma anche, in modo sempre più significativo, a quella del terzo Reich. Penso, fra i tanti, all'apologia di sangue e di suolo, Blut und Boden. C'è l'assunzione di elementi propri di quell'elenco costitutivo che Umberto Eco aveva chiamato il fascismo eterno: discriminazione, razzismo, violenza verbale oltre che fisica, istigazione all'odio, tradizionalismo, irrazionalismo, rifiuto della critica, complottismo, mito dell'eroe. Tutto ciò si è diffuso in una parte anche rilevante del senso comune. È interessante da questo punto di vista la parabola del fenomeno che abbiamo chiamato forse con qualche approssimazione populismo, perché col tempo e nell'agone politico il suo tratto dominante si è sposato con le idee di un nazionalismo contemporaneo.

Se in una parte importante dell'opinione pubblica ha fatto breccia questo substrato culturale, in altra parte – ma sono due parti che si confondono, spesso nelle stesse persone convivono diverse culture - vige il dominio della cultura liberista, fondata sull'individualismo; in un'altra parte ancora, grazie anche, se non specialmente, alla funzione per così dire pedagogica dell'associazionismo e del volontariato, prevale una cultura democratica multiforme che ha parzialmente sostituito la funzione pedagogica dei partiti di massa oggi scomparsi. Ed infine in questo panorama non si può dimenticare l'unica - forse - grande narrazione rimasta, che è quella dell'interpretazione evangelica di Papa Bergoglio, attraverso le sue encicliche ed i suoi convegni. Penso al convegno di Assisi dello scorso anno sull'economia.

L'insieme di questi fenomeni viene vissuto attraverso - per così dire - il filtro del web e dei social che ha – mi sembra – modificato i termini degli oggetti della conoscenza che si accolgono e con i quali ci si connette, invece che interpretarli e criticarli.

Nel nuovo tempo che viviamo quei miti e quei simboli della resistenza permangono – penso ai fratelli Cervi e al 25 aprile – e la visione stessa della resistenza, scevra del plus di retorica degli anni 70, si è molto allargata: la resistenza civile, la resistenza sociale, il ruolo fondamentale delle donne, la resistenza dei meridionali, la resistenza dei militari. E poi ancora ha prevalso la visione concreta, non oleografica di quel processo storico che mantiene un altissimo valore di umanità e di civiltà nonostante luci ed anche ombre. Chi oggi in modo tendenzioso ne enfatizza le ombre o più spesso se le inventa fa, prima d'ogni altra cosa, un'operazione stupida, perché ogni evento storico ha sempre avuto i suoi lati anche oscuri, ma che non hanno mai messo in discussione il suo valore: penso al Risorgimento, alla rivoluzione francese, alla Comune di Parigi, alla guerra di secessione americana, e così via. Eppure a questa più ampia ed analitica ricognizione storica della resistenza non ha corrisposto un riconoscimento largamente maggioritario della sua funzione e dei suoi valori nel senso comune, essendo radicalmente cambiato il contesto, a cui ho accennato in precedenza, e specialmente essendo venuta meno la funzione formativa del sistema partitico.

Torno al quesito iniziale: in questo scenario, come operare in particolare verso le giovani generazioni per far sì che la conoscenza delle radici della repubblica non sia solo la mera registrazione di un fatto storico, ma elemento essenziale per il capire e l'agire nel presente? Detto in breve: come rendere presente il passato? Credo che una categoria essenziale sia quella della memoria, restituendola al nostro tempo, nel quale la sua rimozione è funzionale ad un'idea di società immodificabile.

Dal 19 aprile è online il memoriale della resistenza italiana, in cui sono raccolte centinaia di interviste video a partigiane e partigiani, che raccontano della loro vita vissuta nella quotidianità di quel tempo. Penso che sia davvero uno straordinario strumento didattico, perché ci immerge in un altro tempo come se fosse il nostro e ci consente di presentare di fatto comportamenti che attengono al senso della vita ed al suo valore. Faccio due esempi banali. Il partigiano Walter Nedo Nenci di Viareggio ci racconta delle peripezie per portare borracce piene d'acqua ai deportati in transito per i lager, nonostante la presenza delle SS. Se gli adulti si fossero avvicinati ai carri ferroviari sarebbero stati immediatamente cacciati, se non peggio. Furono i padri allora, e fra questi il padre di Walter, che era un ragazzino, a disporre che i figli portassero quelle borracce ai deportati che invocavano “Acqua! Acqua!”. E ancora: la partigiana Antonietta Chiovini ci spiega come si salvarono tanti ebrei dalle retate accompagnandoli in Svizzera, tramite una vera e propria odissea, per cui coloro che attraversavano il tratto del confine accompagnando gli ebrei erano i contrabbandieri, e ci dice un dettaglio: suo padre era fascista, ma accettava che sua figlia fosse partigiana e per questo fu arrestato e condannato alla fucilazione, lui fascista. Si salvò per un caso. In queste due storie trovo elementi di straordinaria attualità pedagogica: una solidarietà umana espressa a rischio della propria vita verso sconosciuti e perciò un senso del valore della vita come principio indefettibile, e penso, per esempio, al dramma odierno dei naufraghi e più in generale alla condizione dei migranti. O ancora ai morti sul lavoro che sarebbe meglio tornare a chiamare omicidi bianchi. Per questo parlo di attualità pedagogica.

Il memoriale della resistenza italiana rimarrà nel tempo, al di là della inevitabile scomparsa degli stessi intervistati per legge di natura. E giungerà un momento in cui scomparirà anche l'ultimo dei partigiani. Io penso che l'Anpi, che come si sa dal 2006 non accoglie più soltanto i partigiani e i loro congiunti, ma anche gli antifascisti in generale, abbia un compito precipuo, e cioè il trasmettere la memoria. Questo sarà fatto, è già fatto, da quelli che si possono chiamare i portatori di memoria di seconda generazione, cioè i dirigenti e gli attivisti Anpi, quelli che sono cresciuti negli insegnamenti e nell'esempio degli scomparsi. Aggiungo che se la memoria ha come oggetto per definizione qualcosa avvenuta nel passato o qualcuno del passato, essa ha inesorabilmente come soggetto qualcuno che vive nel presente e in questo rapporto soggetto-oggetto si manifesta la funzione didattica della memoria. A proposito della memoria partigiana, la testimonianza del passato assume una funzione propriamente civile, di interpretazione del presente e azione nel mondo in cui viviamo. Da questo punto di vista è incoraggiante il lavoro di alcuni giovani storici – parlo ora specificamente di storia, non di memoria – che intrecciano la ricerca storica all'impegno civile.

Siamo in un mondo e in un Paese in cui si misurano più culture, alle volte in sinergia, altre volte in competizione fra di loro. C'è quindi da chiedersi, anche se la risposta è in parte ovvia, quale sia la nostra cultura di riferimento al fine della formazione dei cittadini. È senza dubbio la cultura democratica. Intendo per cultura democratica una cultura che sia innervata dai valori dell'antifascismo. Qual è la caratteristica di questa cultura? Essa tende ad unire, perché la cifra dell'antifascismo non è propriamente ideologica, ma ideale, unisce cioè, per lo meno dal punto di vista tendenziale, persone e opinioni diverse, che una volta si potevano definire in base ai grandi filoni del pensiero socialista e comunista, cattolico e liberale, e che oggi andrebbero aggiornate sia in quantità, perché sia aggiunge il pensiero ambientalista, sia in qualità, perché i tre grandi filoni hanno subito una serie di metamorfosi.

Quali sono oggi le forze motrici di una cultura democratica e di conseguenza di una formazione democratica? Rimane significativo il ruolo delle istituzioni, nonostante pesanti contraddizioni avvenute negli ultimi decenni, ed in particolare della scuola. Il Presidente della repubblica rimane davvero il più importante ed autorevole presidio istituzionale dell'antifascismo, e colpisce positivamente – devo dire la verità – l'esternazione del presidente del consiglio questo 25 aprile, quando ha affermato “Non tutti gli italiani furono brava gente”, che ha riempito il rumoroso silenzio su questo tema del suo discorso di insediamento.

Anche alcuni partiti hanno mantenuto, in modo non sempre lineare, una connotazione antifascista, ma tale connotazione, nel panorama politico italiano, ha perso il suo passato carattere egemonico. La novità, a cui ho già accennato, è il ruolo della grandi e piccole associazioni di volontariato e di impegno sociale, la cui grande maggioranza opera di conserva con i principi costituzionali mettendoli per quanto possibile a valore. Penso a tante comunità di intellettuali, artisti e personalità dello spettacolo. Penso a Libera, ai tre sindacati, alle Acli, all'ARCI, agli Scout, ad un infinito numero di associazioni prevalentemente comprese nel cosiddetto terzo settore. E naturalmente all'Anpi. A questo proposito va ricordato il protocollo sottoscritto diversi anni fa fra Anpi e allora Miur, e costantemente rinnovato. Il protocollo è teso a valorizzare nelle scuole la storia e le vicende dell'antifascismo, della Seconda Guerra Mondiale, della Resistenza e della Guerra di liberazione, a far conoscere a fondo la Costituzione e contribuire alla formazione dei giovani non solo sul piano culturale, ma anche sotto il profilo del civismo e dei sentimenti concretamente democratici. Il protocollo ha consegnato alla nostra associazione la responsabilità di avvicinare i giovani alle tematiche storico culturali e civili, con salde conoscenze e dimestichezza di intervento.

“Offrire alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado un sostegno alla formazione storica, dalla documentazione alla ricerca, per lo sviluppo di un modello di cittadinanza attiva” è il mandato contenuto nel protocollo.

L'obiettivo è accompagnare e sostenere il lavoro degli insegnanti attraverso la testimonianza della nostra identità. Nel corso di un recentissimo incontro col ministro dell'Istruzione Bianchi, si è assunto il Memoriale della resistenza italiana come un importante strumento didattico e si è avviato lo studio di uno specifico progetto formativo per il 2022. Si ricorderà che il 28 ottobre di quell'anno ricorre il centenario della marcia su Roma, ed è perciò essenziale che la scuola repubblicana informi adeguatamente su quella funesta ricorrenza, anche perché riteniamo certa una crescente campagna delle forze neofasciste, con un possibile appoggio di forze della destra radicale, tesa alla rivalutazione di quell'evento nella più generale revisione del giudizio su quegli anni e persino della verità storica.

Ma se condividiamo che la memoria intesa come ponte fra passato e presente sia uno strumento interessante per restituire alla vita vivente la traccia di vite precedenti, cioè se condividiamo il cosa, dobbiamo preoccuparci nondimeno del come.

In altre parole, se un uomo di 90 anni mi racconta quello che gli successe nel 1944, come faccio a creare un'inferenza, cioè in qualche modo una relazione, una conseguenza, una deduzione, ma anche un coinvolgimento psicologico nei confronti di un ragazzo di 18 anni?

Non ho ricette se non quelle del buon senso. Partire da lui, credo, da quel ragazzo, da quella classe, in ogni caso ed in ogni modo. In senso lato, questo vuol dire una scuola pienamente integrata con la società. In senso esistenziale questo vuol dire partire dal suo vissuto, dai suoi interessi, dai suoi codici di comunicazione, di registrazione e di elaborazione. Mi rendo conto dell'importanza della multimedialità, cioè dell'uso contestuale, per esempio, di scrittura, grafica, immagini, animazioni, suoni come strumento pedagogico di primaria importanza. Ma non entro nelle tecniche di pedagogia per ottenere questo risultato, non ne ho la competenza. Penso comunque che il partire dal nostro interlocutore, il nostro metterci a disposizione, salvaguardando ovviamente il rigore della memoria, sia l'unico metodo proficuo per connettere la generazione della radio, cioè i partigiani, con la generazione dei social.

A maggior ragione ciò vale per quelli che comunemente chiamiamo i valori: libertà, democrazia, eguaglianza, solidarietà, pace, lavoro. A ben vedere, sono il portato storicamente determinato della resistenza e di conseguenza l'anima della Costituzione. Ma non basta declamarli o spiegarli. Come li coniugo nel mondo attuale, nell'Italia attuale, nella vita quotidiana di quel ragazzo? Anche in questo caso il punto di partenza non può che essere lui, quel ragazzo. La sua vita e la sua condizione sociale, anche perché la sua vita è la sua condizione sociale. Occorre partire dal fatto che lui fa il rider, o che nel tempo della Dad non ha la tecnologia, oppure che il padre è disoccupato o fa il magistrato, per dire, perché c'è sempre un nesso.

È interessante notare che il nesso riguarda costantemente la relazione sociale del soggetto. Si ricorderà che è di circa 40 anni fa la famosa affermazione della signora Thatcher: “Non esiste la società, esistono solo gli individui”. In quella affermazione c'è l'intera storia successiva dell'Occidente e, per alcuni aspetti, anche la psicologia. Se fosse vero che viviamo in un mondo di individui privi di società, oltre che affermare un nonsenso, ridurremmo il singolo a un numero, trasformeremmo il cittadino in consumatore, spersonalizzeremmo il lavoratore in risorsa umana. Che è esattamente quello che è successo, è il mondo in cui viviamo. Assieme, l'individuo vedrebbe la libertà nella sua interpretazione egotistica e priva dell'indissolubile legame della responsabilità, laddove la Costituzione è incardinata proprio sul concetto di persona, di società e di responsabilità. Che cos'è la persona se non il singolo nella pienezza dei suoi rapporti sociali? E cos'è la Costituzione stessa se non un grande disegno di democrazia sociale che avviene tramite un'incessante trasformazione? Basti pensare all'inizio del 2° comma dell'art. 3 della Costituzione: “E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono…”. E cos'è perciò la Repubblica se non l'organizzazione dinamica della democrazia, a cominciare dalla scuola? Basti questo per dedurre il radicale contrasto fra il messaggio costituzionale e le culture dominanti nel presente.

Tutto ciò ci illumina sul rapporto fra passato, presente e futuro. La Costituzione è del 1948, ma parlarne e specialmente attuarla, non vuol dire sottometterci al passato ma avviare la costruzione di un grande disegno per l'oggi e per il domani. Se il padre del ragazzo è disoccupato la Repubblica fondata sul lavoro è un impegno/promessa per il futuro. Se il padre è magistrato la giustizia giusta è un impegno/promessa per il futuro. Se lo studente ha pochi mezzi economici, il diritto di raggiungere i gradi più alti da parte dei meritevoli è un impegno/promessa per il futuro. Da tutti questi impegni/promesse per il futuro ne deriva che il presente non è soddisfacente e in questo scarto fra l'essere e il dover essere consiste tutto sommato il senso della cittadinanza attiva.

All'inizio ho affermato che in tanti ragazzi non c'è necessariamente un giudizio negativo o positivo sulla resistenza, semplicemente c'è il distacco, la freddezza con cui si osserva uno strumento che non serve più, perché inattuale, scaduto, obsoleto. È ragionevole pensare che questa sia una delle ragioni di un ricorrente rischio nella società: l'indifferenza. E non mi dilungo sulle drammatiche conseguenze che nella storia europea e anche nazionale ha sempre avuto questo sentimento, specie quando alla violenza dei pochi si giustapponeva l'indifferenza dei molti.

E se l'indifferenza è il frutto di quel distacco, di quel vuoto di giudizio fra positivo e negativo, spetta a noi, proprio a noi, a voi, riempire quel vuoto.

Ho poi parlato della memoria come strumento di connessione fra passato e presente e, aggiungo, di conseguenza, come strumento di formazione della cittadinanza attiva. Ho provato a riflettere inoltre sull'importanza del metodo formativo che, in generale, ma in particolare per le giovani generazioni, non può non partire dalla loro vita e dalle loro condizioni materiali. Ho, infine, posto il problema, dando solo parziali risposte, del come rendere attivi e operanti i valori della Resistenza e della Costituzione attraverso la riconquista del valore della persona, e di conseguenza della sua dignità, e della società di cui ogni persona è parte decisiva.

Ho parlato di risposte parziali perché la risposta totale per rendere attivi quei valori, distinguerli come catechismo laico dell'oggi e del domani, è nella piena realizzazione della Costituzione, un processo che richiede tempo e volontà, meglio, battaglia ideale, politica e sociale, e mette a tema il tempo di una nuova fase della lotta democratica e antifascista. Si dirà: attuazione piena della Costituzione, un'utopia. Sì, ma un'utopia realizzabile. Un ossimoro. Ma non era Icaro un'utopia prima della macchina volante di Leonardo? E non era un'utopia quella dei fratelli Bandiera per un'Italia che poi si unì davvero? E non era un'utopia il crollo dell'apartheid in Africa del Sud e poi venne Mandela? Si sono tutte dimostrate utopie non solo realizzabili, ma realizzate. E la politica in senso ampio è lo strumento attraverso cui un'utopia diventa realizzabile quando si fa visione comune, orizzonte condiviso.

Si chiede qual è l'azione formativa dell'Anpi. Ecco, è questa. Su questa linea si muove l'Anpi in un lavoro permanente che comprende un intervento il più possibile costante nelle scuole, ma non si limita a ciò, perché l'Anpi trasforma in azione quotidiana l'impegno di cittadinanza ereditato dai suoi padri fondatori. Ecco, ciò che ho esposto in questa relazione forse contiene elementi per una cosa che mi piace definire così: elementi di pedagogia partigiana.