Le "ardite rosse"
La prima guerra mondiale ha significato l'emergere di un fenomeno ampiamente diffuso già dalla fine dell'800: la significativa presenza delle donne nel mondo operaio, propagandata negli anni della Grande guerra per rinfrancare un paese duramente provato dalle trincee e dalle sconfitte. Uscire dall'ambito domestico, dalla cultura e quotidianità contadina, ha significato per queste giovani nel corso dei decenni una presa di coscienza della propria condizione e la maturazione di idee politiche. L'obbligo poi del 'ritorno a casa' negli anni '20, dovuto al rientro dei reduci e alla crisi economica conseguente alla riconversione industriale post bellica, incise sulla determinazione a farsi protagoniste di lotte e istanze di cambiamento.
É così che negli anni del primo dopoguerra si trova un numero di donne sempre maggiore iscritte e militanti di partiti e circoli politici, per lo più di sinistra, attive nel contrastare il montante fascismo. Un protagonismo femminile che si distinse nelle lotte degli anni '20 del Novecento, che venne sommerso sia dalla memorialistica sia dalla storiografia, in un contesto di dimenticanza del primo antifascismo in generale, quale fu ad esempio l'arditismo.
L'alto numero di donne politicamente impegnate nei primi del '900 è un fenomeno in gran parte sconosciuto anche perché mistificato già all'epoca dagli stessi casellari politici, dove le figure femminili venivano sempre relegate al ruolo di madri, compagne, amanti e prostitute, ovvero in categorie 'consolanti' per gli stessi avversari politici e per i tutori dell'ordine costituito. Una memoria comunque che si rintraccia proprio grazie a questi registri, venendo invece spesso tralasciata dalla controparte antifascista.
Non sorprende dunque che ad oggi sia dato ancora poco spazio al ricordo di queste militanti, salvo nomi autorevoli, che si impegnarono in prima persona per difendere e rivendicare posti di lavoro e diritti.
Lo storico Marco Rossi, all'interno dei sui studi sul primo antifascismo in Italia, ha contato almeno una quarantina di donne vittime dello squadrismo dal 1919 al 1922, anno della Marcia su Roma. Donne che, ad esempio a Trieste, avevano dato vita ad una sezione femminile anche all'interno di un'organizzazione paramiliate come gli Arditi Rossi – precedenti agli Arditi del popolo -, con il nome di "Ardite rosse", di cui facevano parte una ventina di iscritte animate dalla socialista Aurelia Benco.
In questo contesto scopriamo che la prima vittima in assoluto del fascismo fu proprio una donna, operaia e militante non si sa se socialista o anarchica, comunque sovversiva.
Teresa Galli aveva 19 anni e cadde il 15 aprile del 1919 a Milano. I Fasci italiani di combattimento non avevano nemmeno un mese di vita.
Il 13 aprile a Milano, durante una manifestazione socialista, si erano verificati incidenti di una certa gravità in seguito all'intervento della polizia. Un dimostrante era rimasto ucciso e molti erano stati i feriti. Per reazione, due giorni dopo, i socialisti e la Camera del Lavoro proclamarono uno sciopero generale per protestare contro la repressione poliziesca.
Si tenne un imponente comizio all'Arena a conclusione del quale parte della folla si mise in marcia verso il centro della città. Sventolavano bandiere rosse, rosse e nere, ritratti di Lenin e di Malatesta.
Un corteo spontaneo che venne aggredito da circa 400 fra fascisti e aderenti ad organizzazioni di destra armati di spranghe, armi da taglio, pistole e bombe a mano, che le forze dell'ordine non ostacolarono.
In quegli scontri rimase uccisa la giovane Teresa.
Gli assalitori poi proseguirono attaccando, distruggendo e dando alle fiamme la sede del locale giornale socialista.
Alla sera del 15 aprile si poterono registrare quattro morti, fra cui la Galli, e trentanove feriti.
Portare alla ribalta queste vicende, ricordare l'impegno e il contributo dato dalle donne alla lotta costante per migliorare le condizioni di vita economica e sociale delle classi popolari, significa ritrovare quel filo rosso che collega questa prima resistenza femminile sommersa a quella definita 'sconosciuta' della seconda guerra mondiale. Significa ancor di più approfondire le ragioni di un impegno e di una consapevolezza che va al di là dell'opposizione al partito mussoliniano; consapevolezza che in tante donne, giovani o anziane, non si destò improvvisamente nel '43 per partecipare alla lotta di Liberazione e sostenere i partigiani. Significa riconoscere una cultura di impegno che almeno dal Risorgimento alle lotte femministe degli anni '60 del '900 hanno prodotto coscienza e una progressiva conquista di diritti.
Gemma Bigi
Si ringrazia Marco Rossi per i dati e la consulenza.