Francesco Valentino
In corso Vinzaglio a Torino, tra gli alberi, a pochi passi da via Cernaia, c'è un cippo sul quale il tempo e, forse, qualche gesto vandalico, hanno lasciato il segno. Sul cippo sono incise queste poche parole "Ai Martiri dell'eterna Libertà - Bena Battista, contadino - Briccarello Felice, commerciante - Valentino Francesco, partigiano, - Vian Ignazio, partigiano - 22-7-1944 - Il Comune". Delle quattro fotografie, di quelle che un tempo si facevano negli studi dei fotografi artigiani, n'è rimasta una sola, quella di Ignazio Vian. Le altre sono scomparse, ma a Torino è ancora vivo il ricordo di quel pomeriggio del secolo scorso, quando i nazifascisti, atterriti dai quasi quotidiani attacchi dei patrioti ai loro uomini e alle loro postazioni, decisero di effettuare in città un grande rastrellamento.
Centinaia di persone, bloccate per strada, sui mezzi pubblici, all'uscita della stazione di Porta Susa, furono portate a forza in corso Vinzaglio. Era il pomeriggio e già da un albero pendevano quattro cappi. Mentre i fascisti tenevano le armi puntate sulla folla, arrivò in retromarcia un camion. Due fascisti scesero dal camion e sollevarono il telone posteriore. Si videro quattro uomini in piedi, di spalle. I carnefici infilarono i cappi al collo dei quattro. Improvvisamente il camion ripartì, ma non prima che due dei condannati si girassero. Uno, col volto pallidissimo, era Vian; l'altro, che ancora ebbe la forza di gridare qualcosa alla folla e di sollevare in alto il braccio col pugno chiuso, era Valentino. Poi i quattro corpi appesi oscillarono per qualche istante davanti alla gente, che aveva avuto la prima rappresentazione delle impiccagioni che i fascisti, per "dare una lezione" (chi scrive queste note, "rastrellato" mentre andava a scuola, il giorno dopo entrava nella Resistenza), avrebbero cominciato ad attuare a Torino e nei paesi dei dintorni.
Francesco Valentino, nel gennaio del 1944, con Dante Di Nanni(abitavano nella stessa casa), Giuseppe Bravin ed altri era entrato nell'organizzazione gappista torinese guidata da Giovanni Pesce e Romano Bessone. Da allora le azioni dei GAP si erano svolte ad un ritmo tale che il federale fascista Solaro aveva telegrafato a Mussolini chiedendo rinforzi, affermando che "in città si trovano concentrati 5.000 gappisti". In realtà si trattava di poche diecine di valorosi tra i quali, appunto Francesco Valentino che fu catturato, ferito, insieme a Bravin, la notte del 16 maggio, quando i gappisti di Pesce avevano distrutto gli impianti radio di una postazione nazifascista sulla riva del torrente Stura.
Due mesi dopo i due gappisti venivano impiccati in luoghi diversi della città. Sulla morte del figlio, la madre di Valentino ha lasciato un'ingenua, struggente ballata. Una delle strofe dice: "Quand'allor nel dì fatale/martoriaron il figlio mio/salvarlo da man brutale/non potevi mio buon Dio?".
(f.s.)