Primo Levi
Per Levi, com'ebbe a scrivere, essere ebreo "significava qualcosa di vago, non propriamente un problema: significava una tranquilla consapevolezza della antichissima storia del mio popolo, una sorta di incredulità benevola di fronte alla religione, una tendenza spiccata verso il mondo dei libri e delle discussioni astratte. Per tutto il resto, non mi sentivo diverso dai miei amici e condiscepoli cristiani, e mi sentivo a mio agio in loro compagnia". Furono le leggi razziali, emanate dal fascismo mentre era studente universitario presso la Facoltà di chimica, ad indurlo ad un attivo impegno per la libertà e la democrazia. Nel 1942 Levi entra nel Partito d'Azione clandestino. Dopo l'8 settembre del 1943 si unisce ad un gruppo partigiano operante in Val d'Aosta. Pochi mesi dopo, il 13 dicembre, cade, a Brusson, nelle mani dei fascisti, che non sanno della sua attività nella Resistenza, ma che lo identificano come ebreo. Tanto basta perché sia deportato prima a Fossoli e poi nel campo di sterminio nazista di Auschwitz. Liberato dalle truppe sovietiche, Primo Levi è stato uno tra i pochi italiani sopravvissuti a quella tragica esperienza. Rientrato a Torino e ripresa la sua professione di chimico, nel 1947 pubblicò, presso l'editore De Silva un volume di memorie sul lager nazista. Lo stesso volume, Se questo è un uomo, è stato poi ristampato dalla casa editrice Einaudi nel 1958 e, da allora, ancora ristampato e tradotto in molte lingue. Nel 1965 è poi uscito, di Primo Levi, La tregua. Tutti e due i volumi sono considerati fra le opere più significative della letteratura della Resistenza. L'ultima opera dello scrittore reca il titolo I sommersi e i salvati. Il ricordo angosciante delle esperienze del campo di sterminio avrebbe portato Primo Levi al suicidio; ma c'è chi, come lo scrittore Ferdinando Camon, ha argomenti (una lettera di Levi), per ipotizzare che quel volo, nella tromba delle scale di casa, sia stato una disgrazia.