Mario Viazzoli
Aveva soltanto quindici anni quando aveva cominciato a militare nel Partito socialista. Passato ai comunisti dopo la scissione di Livorno, Viazzoli fu incaricato di fare opera di persuasione verso i soldati, che allora erano spesso impiegati per reprimere le manifestazioni operaie. Diventato più duro lo scontro con gli squadristi, al giovane operaio fu affidata la responsabilità di organizzare la resistenza nel Pavese. Nel febbraio del 1923, arrestato con altri militanti comunisti (fra questi anche molti membri della Direzione del PCdI), fu processato e, come tutti gli altri, assolto. Scarcerato, Viazzoli riprese clandestinamente il lavoro di propaganda verso i soldati, il che gli valse, nel 1924, una denuncia per "incitamento all'odio fra le classi" e una condanna a tre mesi di reclusione. Nel novembre del 1926, grazie alle Leggi eccezionali fasciste, con la semplice accusa di comunismo, fu arrestato e mandato al confino per cinque anni. Riacquistata la libertà, Viazzoli riuscì a trovare lavoro come autista d'autolinee. Questo suo impiego mise a frutto dopo l'8 settembre del 1943. Sino all'insurrezione, infatti, Viazzoli mantenne proficuamente i collegamenti tra l'organizzazione comunista del Pavese e il Centro di Milano. Dopo la Liberazione si impegnò per lunghi anni nelle organizzazioni democratiche di base della sua città.