Alberto Cozzi
Cresciuto nel quartiere romano di Valle Aurelia, allora ancora abitato in prevalenza da operai fornaciari, Alberto era entrato giovanissimo nella formazione "Stella Rossa", partecipando a numerose azioni di sabotaggio. Quando si rese conto di essere stato individuato, lasciò la Capitale e si spostò nel Viterbese, dove continuò la lotta contro i nazifascisti. Si apprestava a far saltare in aria un deposito tedesco di munizioni allorché, tradito da un confidente della polizia, fu catturato dai fascisti. Trasferito a Roma, resistette agli interrogatori e alle torture a cui venivano sottoposti gli "ospiti" di Via Tasso. Anche dinanzi ai giudici che lo processavano, mantenne un contegno fermo e dignitoso. Condannato a sette anni di carcere in considerazione della giovane età, il ragazzo fu rinchiuso a "Regina Coeli". Ci restò poco. Fu trucidato alle Fosse Ardeatine, con gli altri 334 martiri prelevati dai nazifascisti dopo l'azione gappista di via Rasella. Ad Alberto Cozzi è stata intitolata una strada di Roma. Il suo nome figura anche sulla lapide che nella Capitale, in Via Aurelia 37/a, è stata posta dagli abitanti del quartiere, nel 1954, in ricordo dei cinque partigiani della "Valle dell'Inferno", caduti tra le Fosse Ardeatine e Forte Bravetta. La motivazione della massima ricompensa al valor militare, concessa alla memoria di Alberto Cozzi ricorda: "Diciottenne animato da viva fede patriottica, subito dopo l'armistizio, con decisione e con ardimento esemplari, prodigava ogni sua attività nella lotta di liberazione distinguendosi, in pericolose circostanze, per costante dedizione, per iniziativa e per coraggio. Caduto, per delazione, in mani tedesche, brutalmente interrogato e barbaramente seviziato, manteneva esemplare contegno, nulla rivelando. Al processo rivendicava su di sé ogni responsabilità riuscendo a far assolvere un suo compagno. Alle Fosse Ardeatine immolava la giovane vita agli ideali di Patria e di Libertà".