Salva Gelfi
Rimasta orfana di padre, a 11 anni entra in fabbrica al cotonificio Olcese di Cogno, dove continuerà a lavorare come operaia anche quando la Seconda guerra mondiale sarà finita. Dopo l'8 settembre 1943, in accordo con don Carlo Comensoli, parroco di Cividate, è Salva Gelfi ad accompagnare a Bienno, nella casa di Luigi Ercoli, diecine di ex prigionieri e soldati "sbandati". Dall'ottobre del 1943, la giovane operaia è staffetta del Comando delle "Fiamme Verdi", per le quali tiene i collegamenti fra i centri della Resistenza dislocati lungo la Valcamonica fino a raggiungere, talvolta, la Franciacorta o, nella direzione opposta, i paesi dell'alta valle, oltre Edolo. Nel marzo del '45, la staffetta è costretta ad allontanarsi dalla valle, per sottrarsi alla caccia che le danno i nazifascisti; trascorrerà le ultime settimane di guerra a Milano, nella casa di un'amica. Dopo la Liberazione e sino alla scomparsa per una grave malattia, Salva Gelfi (della sua partecipazione alla guerra di Liberazione si dice nel libro I gesti e i sentimenti: le donne nella Resistenza bresciana stampato nel 1989 per iniziativa del Comune di Brescia), ha continuato il suo impegno in attività sociali.