Maria Rudolf
Cresciuta con tre fratelli e sorelle in un paese vicino al confine sloveno, quando, dopo l'8 settembre 1943, il Friuli-Venezia Giulia fu di fatto annesso al Terzo Reich, la ragazza entrò come staffetta nella Resistenza. Arrestata e detenuta nelle carceri di Gorizia con altri due partigiani, il 13 giugno 1944 subì un processo che si concluse col proscioglimento dei tre imputati. Nonostante l'assoluzione la Rudolf fu però incarcerata a Trieste e, il 2 settembre 1944, deportata verso il campo di concentramento di Auschwitz. Dopo un viaggio di cinque giorni, arrivata nel Lager, la ragazza fu immatricolata con il numero 88492, tatuato sull'avambraccio. Dopo quaranta giorni ad Auschwitz, trasferimento al lager di FlossenbŒrg e nuova immatricolazione (questa volta il numero 60301 le fu cucito sulla giacca), Di lì la deportata ogni giorno veniva trasferita a Plauen e costretta a lavorare in una fabbrica del posto, che produceva per l'aviazione tedesca. Nell'aprile del 1945 la fabbrica fu bombardata e incendiata dagli Alleati; con altre cinque compagne Maria trovò rifugio in un bosco vicino, dove le sei donne furono trovate dai vincitori e liberate. Ma soltanto nell'agosto del 1945, dopo un viaggio di ventotto giorni, Maria Rudolf poté rivedere i suoi cari. Oggi vive a Trieste, ha tre figli, ma, a tanti anni dalla Liberazione, ancora si commuove testimoniando, soprattutto con i ragazzi delle scuole, l'immane tragedia dei campi di sterminio. Nel 2008 è stato pubblicato il libro di Gabriella Nocentini intitolato Tutto questo va detto. La deportazione di Maria Rudolf.