Luigi Fiori
Nonostante la famiglia sia di estrazione alto borghese, tradizioni militari e fedelissima alla monarchia, Luigi Fiori rivela una forte vocazione artistica e decide di studiare scultura all’Accademia delle Belle Arti di Carrara. È uno dei tanti giovani cresciuti col regime, non si pone domande, la politica non lo interessa.
Con l’entrata in guerra dell’Italia è chiamato alle armi, ufficiale dislocato prima a Ventimiglia (dove conosce un sergente slavo di un paese vicino ai confini triestini e scopre il dissenso antifascista), successivamente a Roma nel Battaglione anti-paracadutisti di stanza all’aeroporto militare di Centocelle.
Ed è proprio nella Capitale che all’indomani dell’8 settembre ’43 assiste al disfacimento dell’esercito dopo la fuga del Re a Brindisi. Partecipa alla battaglia di Porta San Paolo, riesce a lasciare la città occupata dai nazisti e a tornare nella sua terra. Ma a Sarzana resterà solo pochi giorni: per evitare i bandi saloini di arruolamento si nasconde sulle montagne parmensi da uno zio sacerdote. Lì prende contatti con le prime formazioni che nell’Appennino tosco-emiliano si organizzano per combattere l’occupante. Un amico medico gli dà una rivoltella, l’arma che lo accompagnerà per tutti i mesi della Resistenza.
Entra nella Brigata “Vampa”, operante in Val di Taro: trenta uomini di cui diventa presto comandante col nome di “Fra’ Diavolo”, stratega dei sabotaggi lungo la direttrice ferroviaria Fornovo-Pontremoli, tratto cruciale per i tedeschi attestati sulla Linea Gotica.
L’attività di resistente non si fermerà con la Liberazione: Fiori, infatti, riprende nel Dopoguerra la sua inclinazione artistica affermandosi come progettista nella grande industria ma, per tutta la vita, continuerà a testimoniare la lotta partigiana e i princìpi sanciti nella Costituzione.
Da ricordare l’impresa di distribuire nelle scuole e nelle piazze del Paese ben 80.000 copie del testo fondamentale della Repubblica italiana, stampate con l’ANPI di Lerici, dove risiedeva, del quale era Presidente onorario. A tutti nota era la sua fittissima agenda di impegno civile, divisa tra riunioni associative e incontri con gli studenti. Ai giovani era rimasto vicino sempre, anzi proprio da loro aveva ricevuto l’impulso a partecipare attivamente alla politica: negli Anni 60 attraverso i figli aveva conosciuto il Movimento studentesco, poi si era iscritto al PCI, passando in seguito a Rifondazione comunista.
Più volte Gigi ha affidato le sue memorie ai Musei Audiovisivi e agli Archivi della Resistenza, anche nell’anno del 70°, pur costretto ormai in un letto d’ospedale. Un capitolo interamente dedicato alla sua vicenda è contenuto nel libro di Marco Rovelli "Eravamo come voi".
E proprio questo Luigi Fiori spiegava alle nuove generazioni, spronandole a non abbattersi mai e concludendo ogni discorso con il suo motto preferito: “Quando ai monti con la mia brigata subivamo un rastrellamento, i tedeschi in migliaia ci uccidevano, ci sbaragliavano fino a ridurci a uno sparuto gruppo di uomini. Tuttavia non ci demoralizzavamo e iniziavamo dal giorno dopo a ricomporre la brigata. È successo diverse volte, per questo vi dico di non arrendervi mai. Coraggio, ragazzi!”.