Leo Valiani
Aveva soltanto dodici anni quando, nella sua città natale, fu sgomento testimone dell'incendio - per mano degli squadristi fascisti - di una sede degli autonomisti di Fiume. Nel 1926 Valiani (di famiglia ebraica, il suo originario cognome ungherese, Weiczen, fu italianizzato nel 1927), con il varo delle leggi speciali, sceglie di militare nel movimento antifascista clandestino a Milano, dove ha conosciuto Carlo Rosselli. Due anni dopo, il primo arresto: otto mesi di reclusione e poi l'invio al confino a Ponza. È nell'isola che il giovane, familiarizzato con alcuni dirigenti comunisti che vi erano confinati, decide di aderire al PCdI.
Quando torna a Fiume continua a svolgere attività cospirativa, ma non può operare per molto tempo. Nel 1931 è arrestato con altri nove compagni. Per lui la condanna più pesante: 12 anni e 7 mesi di reclusione. Valiani passa dal carcere di Trieste a quello di Roma, poi a quello di Lucca, infine a quello di Civitavecchia. Non sconta, per amnistia, tutta la pena e, rilasciato, nel 1936 emigra in Francia. Da Parigi, dove è entrato nell'apparato locale del PCdI, raggiunge la Spagna, come "inviato speciale" del settimanale Il grido del popolo, presso i volontari antifascisti italiani delle Brigate internazionali. Richiamato in Francia diventa redattore capo diLa Voce degli Italiani, che sostiene la politica del Fronte popolare sino a che, nell'agosto del 1939, il quotidiano non è soppresso, dal governo Daladier. Con La Voce, è chiusa tutta la stampa che fa capo ai comunisti italiani, accusati di essere asserviti a Mosca.
Il patto di non aggressione, firmato da Molotov e Ribbentrop, offre così l'occasione alle autorità francesi per inviare gli esuli italiani in campo di concentramento. Anche Valiani è rinchiuso a Vernet d'Ariège, giusto il tempo di discutere con gli altri dirigenti comunisti italiani del patto russo-tedesco e di farsi espellere dal partito. Aiutato da alcuni dirigenti di "Giustizia e Libertà", con i quali s'era tenuto in buoni rapporti a Parigi, nell'ottobre del 1940 Leo Valiani lascia il campo di concentramento. S'imbarca per il Marocco francese con altri esuli e di lì raggiunge il Messico.
Nell'estate del 1943, dopo la caduta di Mussolini, gli americani autorizzano Valiani ed altri antifascisti a rientrare in Italia. Via Algeri, Sicilia, Salerno, Leo Valiani arriva a Roma. La Capitale è appena stata occupata dai tedeschi e l'ex dirigente comunista passa al Partito d'Azione. Mandato a Milano al fianco di Ferruccio Parri, rappresenterà poi il PdA nel Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia. È in tale veste che Valiani (con Luigi Longo, Sandro Pertini ed Emilio Sereni) sottoscrive, il 25 aprile, l'ordine di insurrezione e, il 29 aprile 1945, il comunicato di approvazione dell'avvenuta esecuzione di Benito Mussolini.
Nel dopoguerra Valiani, che nel PdA, durante la Resistenza, aveva sempre sostenuto una linea ferma e combattiva, che era stato membro della Consulta e che era stato eletto alla Costituente nelle liste del Partito d'Azione, allo scioglimento di questo partito rinunciò alla politica attiva, ma continuò la sua militanza con una feconda attività pubblicistica e giornalistica. Nel 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale dei Democratici e dei Liberali Italiani, ma agì sempre da "battitore libero" scrivendo per Critica Sociale, Il Mondo, L'espresso, Rivista storica italiana e, dal 1970, come editorialista del Corriere della Sera. Ha pubblicato anche molti saggi storici e libri di memorie tra i quali, sulla Resistenza, ricordiamo: Tutte le strade conducono a Roma (edito nel 1947 e nel 1986), Dall'antifascismo alla Resistenza (1960), Il Partito d'azione nella Resistenza (1971).
Il 1° dicembre 1980, Sandro Pertini, compagno di tante battaglie, lo chiamò a Palazzo Madama per conferirgli l'incarico di senatore a vita. Dopo la scomparsa di Valiani portano il suo nome molte strade, piazze e scuole d'Italia.