Famiglia Baffè
Alfonso (nato nel 1883), Angelo (1911), Davide (1912), Domenico (1928), Federico (1911), Giuseppe (1894), Maria (1916), Osvalda (1920), Pio (1878), Vincenza (1919), tutti fucilati o arsi vivi il 17 ottobre 1944 nella loro casa colonica di Massalombarda (Ravenna).
Insieme ai Baffè furono massacrati Severino Gollo (1928), che la famiglia aveva adottato, il novantenne Germano Baldini, il quasi ottantenne Angelo Foletti ed i garibaldini - compagni dei Baffè nel distaccamento "Umberto Ricci" della XXVIII brigata Gap - Giulio Baldini (1880), Giuseppe Canori (1912), Adamo Foletti (1876), Aristide Foletti (1872), Giuseppe Foletti (1885), Leo Landi (1881), Antonio Landi (1925), Augusto Maregatti (1885), Giuseppe Cavallazzi (1885), Giulio Scardovi (1923).
I Baffè erano sempre stati conosciuti a Massalombarda come antifascisti. Il capofamiglia, Giuseppe, detto Pippo, durante il ventennio era comparso tre volte davanti al Tribunale speciale ed aveva passato otto anni in carcere. Fu per lui del tutto naturale, dopo l'8 settembre del 1943, organizzare con i figli Luigi e Osvalda, che sarebbe poi stata tra le vittime del massacro dell'ottobre 1944, le prime formazioni partigiane della zona. Quelli della "Umberto Ricci" diedero molto filo da torcere ai fascisti, tanto che il comando nazista decise di estirpare quel centro di resistenza. Nella notte tra il 16 e 17 ottobre fascisti e tedeschi danno il via al rastrellamento. Obiettivo è la cascina dei Baffè. Ma non riescono ad arrivarci facilmente. I gappisti della XXVIII li intercettano e, nello scontro a fuoco, cade il partigiano Gastone Scardovi e un ufficiale tedesco. I fascisti si ritirano, ma tornano dopo poco con forze ingenti e, sono le 5 del mattino, riescono a conquistare il cascinale, nel quale, messa sull'avviso dalla sparatoria, è tornata, per dar man forte ai suoi, Osvalda Baffè. Nella casa colonica i tedeschi cominciano a malmenare, tutti quanti, giovani e anziani, vi si trovano. Vogliono i nomi di tutti i membri delle formazioni partigiane della zona e la loro localizzazione. Ma i Baffè non parlano e, dopo quattro ore di pestaggi, i tedeschi decidono di trasferire tutta la famiglia nella casa del fascio, dove intanto erano stati trattenuti altri dieci partigiani catturati durante il rastrellamento. Le atroci torture (a Davide Baffè vengono anche trafitte le pupille), non servono a nulla; così i nazifascisti decidono di disfarsi dei prigionieri: li riportano tutti alla casa colonica, ne fucilano alcuni sull'aia, gli altri li chiudono nella casa che avevano minato e fanno saltare tutto in aria. Quando, nell'agosto del 1945, Sante Baffè, uno dei pochi superstiti della famiglia, ritorna, ignaro, da un campo di deportazione nazista trova, invece della sua casa, pochi ruderi calcinati dalle fiamme. C'era ancora un cartello scritto in italiano e in tedesco; diceva: "Qui abitava una famiglia di partigiani e di assassini".