Giuseppe Scagliosi
Negli anni Trenta si era trasferito a Cuneo, ma allo scoppio della Seconda guerra mondiale, mentre era Aiuto della Divisione di medicina di quell'Ospedale civile, era stato mobilitato e mandato, come capitano medico di complemento, sul Fronte occidentale. Dopo l'armistizio, il medico era tornato nella città piemontese, dove aveva preso a collaborare con un Centro della Resistenza che si occupava dello smistamento d'informazioni e del coordinamento delle staffette. Pochi mesi dopo il suo impegno divenne più diretto. Lasciata Cuneo, Scagliosi si portò in Valle Stura per unirsi ai partigiani della Brigata GL "Carlo Rosselli", comandata da Nuto Revelli. Il medico prestò la sua preziosa assistenza ai combattenti della Brigata, sino a che non gli fu affidata la responsabilità sanitaria dell'intera 1a Divisione Alpina "Giustizia e Libertà". A fine agosto del 1944, quando la "Rosselli" fu costretta a sconfinare in Francia, dopo furiosi combattimenti con i granatieri della 90a Divisione corazzata germanica, Scagliosi, al seguito del Comando di Brigata, si portò in Val Vésuble. Il medico si trovava in prossimità di Turiny quando, durante un'azione, rimase gravemente ferito in uno scontro con i tedeschi. Era il 19 settembre del '44. Col femore spezzato da una pallottola, il medico si rese subito conto che il suo trasporto avrebbe creato gravi problemi ai suoi compagni e avrebbe messo a repentaglio la loro vita. Rifiutò così ogni soccorso e rimase sul posto per proteggere il ripiegamento della pattuglia partigiana. Il cadavere di Scagliosi fu ritrovato nel dicembre successivo dai suoi compagni, là dove era stato colpito. La motivazione della MdO concessa alla memoria del valoroso medico recita:"Trascinato da ardente entusiasmo per la causa delle libertà, si offriva volontario per eseguire, al comando di una pattuglia di otto partigiani, un ardito colpo di mano oltre le linee tedesche. Benché minorato per infortunio occorsogli, non volle rinunciare all'ambito onore di partecipare all'audace impresa e, dopo avere superato con epico slancio tre ordini di reticolati, si lanciava nel folto della mischia incurante dell'intensa reazione di fuoco opposta dal nemico. Caduto gravemente ferito ad una gamba, cosciente che il suo trasporto avrebbe votato a sicura morte i compagni che lo reggevano, rifiutava ogni soccorso e restava sul posto per proteggere col fuoco il ripiegamento della sua pattuglia. Cessata la mischia il nemico rinveniva il suo cadavere insanguinato a monito della fierezza partigiana che preferisce la morte alla prigionia".