Gelindo Citossi
Era nato a Zellina, frazione di San Giorgio, in una famiglia di contadini. Sesto di nove fratelli, Gelindo aveva perduto l'uso del braccio sinistro, ma ciò non gli impedì dopo l'8 settembre 1943, di entrare a far parte della Resistenza. Prima viene impiegato come trasportatore, poi, su sua richiesta, nell'estate del 1944, Gelindo entra nei reparti combattenti e in breve diventa il capo del leggendario gruppo dei "Diavoli Rossi". Così venivano chiamati una ventina di gappisti che operavano nella Bassa Friulana sotto la guida, appunto, di Citossi, che aveva assunto il nome di battaglia di "Romano il Mancino". I "Diavoli Rossi" erano quasi tutti giovanissimi e, del resto, "Romano il Mancino" che li guidava - in imboscate, sabotaggi, eliminazione di spie e di finti partigiani, in requisizioni e trasporto di armi e viveri in montagna - aveva appena superato i trent'anni. L'azione più clamorosa (tanto che ne parlarono Radio Londra e Radio Mosca e tanto da indurre il maggiore Nicholson, della Missione Alleata, a procurare almeno un "lancio" di armi, munizioni e vestiario agli ardimentosi che avevano la loro base a Spessa di Cividale), fu quella dell'assalto al carcere di Udine. È la sera del 7 febbraio 1945. Un "capitano nazista" (in realtà si trattava di "Piotto", un caucasico che aveva disertato dalla Wehrmacht ed era passato con la Resistenza), spinge a calci verso il portone del penitenziario due "banditi" che ha catturato: Gelindo Citossi e Enzo Jurich. Quando la guardia apre il portoncino, entrano di sorpresa anche Carlo Avanzo (un partigiano di Ferrara), Giovanni Zaninelli (18 anni, di San Giorgio di Nogaro), Antonio Burba (18 anni, di Driolassa di Teor), Galliano Ferisin (16 anni, di Cervignano), Luigi Scagnelli (18, di Pavia), Ferruccio Manzione (25, di Castions di Strada), Giovanni Piani (21, di Gonars), Pietro Tavars (18, di Gonars), Angelo Pelizzon (17, di Carlino), Angelo Basso (21, di Udine), Aldo Plaino (24, di Udine), Valerio Stella (35, di Torreano), Raffaele De Sario (22, di Bari), "Tigre" (un partigiano della Bassa Friulana) e Pietro Zorzini (il vice comandante della banda, che sarebbe stato ucciso tre settimane dopo). Abbattute due guardie che avevano opposto resistenza, gli uomini di "Romano il Mancino" liberano 73 tra partigiani e prigionieri politici (sei dei quali già condannati a morte), un maggiore e due soldati inglesi. Per la fuga dei prigionieri provvede Ferruccio Buffa, con un camion rubato una settimana prima da lui, da Zorzini e da Rinaldo Nadalutti; tutti gli altri si allontanano a piccoli gruppi, vanamente inseguiti dai nazifascisti, accorsi dopo la prima sparatoria. Gli uomini di Gelindo Citossi riceveranno subito l'encomio del Corpo Volontari della Libertà. Nel dopoguerra per "Romano il Mancino", nessun riconoscimento ufficiale. Per lui soltanto il ricordo della gente del Friuli che, nel 61° della Liberazione, si è recata in pellegrinaggio a Pisino, dove Citossi era stato ospitato da una sorella.