Leo Lanfranco
Leopoldo Lanfranco (ma per tutta la sua breve vita sarebbe stato Leo, salvo il periodo della Resistenza, durante il quale si faceva chiamare Carlo), aveva aderito al Partito comunista clandestino nel 1925. Subito dopo la promulgazione delle Leggi speciali era stato fermato e poi, nel 1934, era stato deferito al Tribunale speciale. Assolto in istruttoria dalle accuse chi gli venivano mosse, l'operaio torinese fu comunque mandato per cinque anni al confino a Ponza. Nell'isola conobbe Umberto Terracini, Giovanni Roveda, Pietro Secchia e altri dirigenti antifascisti, che lo aiutarono a sviluppare la propria preparazione politica. Anche a Ponza, Leo ebbe modo, con gli altri confinati, di protestare contro i soprusi della polizia e della milizia, che non rispettavano neppure i regolamenti fissati dai fascisti. Tornato a Torino dal confino, dopo una lunga e penosa ricerca di lavoro, Leo riuscì, infine, nonostante i suoi precedenti politici, a trovare un lavoro alla Fiat. Lo assunsero perché "sapeva dominare il ferro". Lavorava in fabbrica, ma aveva ripreso anche i contatti clandestini con il suo partito. Lanfranco fu così tra i principali organizzatori dello sciopero delle fabbriche torinesi del 5 marzo 1943. Alla Fiat, il reparto dove Leo lavorava, l'officina 19 di Mirafiori, fu alla testa di quella lotta. Lui e altri 164 operai torinesi furono arrestati, ma il fascismo, lo si sarebbe visto nel luglio, subì un duro colpo. Tornato in libertà il 26 luglio, dopo la manifestazione condotta dagli antifascisti torinesi sotto le "Nuove", a Leo fu affidata dal suo partito la direzione del "lavoro sindacale". L'armistizio e l'inizio della lotta armata vedono Lanfranco in primo piano nell'organizzazione delle Squadre di azione patriottica nelle fabbriche torinesi. Ma, ormai, l'operaio antifascista è troppo noto alla polizia e conviene che Leo si allontani dalla città. Lanfranco raggiunge le formazioni partigiane attive nella zona di Barge (Cuneo) ed è nominato commissario politico della quarta Brigata Garibaldi "Pisacane". La sera del 2 febbraio 1945 "Carlo", che nel frattempo è diventato commissario della prima Divisione d'assalto Garibaldi, si trova a Villafranca Piemonte, per un'ispezione alle formazioni partigiane locali. Nella "Locanda del Pino" è sorpreso e arrestato da una squadra di fascisti, capeggiata dal famigerato Spirito Novena (nel dopoguerra Novena - che durante gli interrogatori aveva invitato il figliolo, che era con lui, a infilare negli occhi dei torturati un ferro arroventato - sarebbe stato amnistiato). È interrogato, sottoposto a tortura, dalle 5 del mattino sino al pomeriggio. Ma dalle sue labbra non esce una parola che potrebbe danneggiare l'organizzazione della Resistenza. I fascisti lo trascinano in strada per fucilarlo con i fratelli Carando. Sarà lo stesso Novena che si sostituisce al plotone d'esecuzione, sparando con una mitraglietta a bruciapelo al viso di Leo e di Ennio e Ettore Carando, mentre stanno urlando "Viva l'Italia libera!". E sarà ancora Novena a profanare le salme delle sue vittime, nonostante le proteste del parroco. Portano oggi il nome di Leo Lanfranco una Sezione dell'ANPI e un viale di San Mauro Torinese. Il Comune di Torino ha deciso di intitolare, a lui e ai fratelli Carando, una strada del quartiere Santa Rita.