Adelfo Maccaferri
Aveva prestato servizio militare in artiglieria a Gorizia dall'8 gennaio 1941 all'8 settembre 1943. Sin dall'inizio della lotta di liberazione fu uno dei primi a organizzare nuclei armati nella zona di Amola (S. Giovanni in Persiceto), e a svolgere attività di guerriglia. Poteva agire e muoversi liberamente perché, lavorando per la Todt, aveva un permesso regolare. Nell'aprile 1944, quando fu scoperto, riuscì fortunosamente a evitare l'arresto. Dovette però spostarsi nelle località di Tivoli e Castagnolo (S. Giovanni in Persiceto) ed entrare in clandestinità. Militò nella 63a Brigata "Bolero" delle Garibaldi e nel novembre divenne comandante del battaglione "Sergio", ribattezzato poi col nome di Antonio Marzocchi. Braccato dai nazifascisti in tutto il territorio del Comune (l'11 agosto del '44, per indurlo a costituirsi, i fascisti gli arrestarono alcuni familiari), riuscì sempre a sfuggire alla cattura. Divenuto vice comandante della Brigata, nel dicembre, (durante il grande rastrellamento compiuto dai tedeschi ad Amola, nel corso del quale furono arrestate centinaia di persone), "Brunello", come si faceva chiamare, evitò ancora la cattura. Si spostò nella zona di Calderara di Reno e divenne vice comandante della 3a Brigata "Nino Nannetti", una formazione poi assorbita dalla 63ma. Sfuggito ancora ad un arresto ai primi del marzo 1945, mentre si trovava a Pieve di Cento con Renato Cappelli (finito, invece, nelle mani del nemico), fu preso dai fascisti il 15 marzo 1945 a Castel Campeggi (Calderara di Reno). Dopo avere attaccato e distrutto un deposito tedesco, Maccaferri, con altri partigiani, non si era allontanato dalla zona e aveva passato la notte in una casa colonica. Mentre dormiva, i tedeschi, che avevano dato il via ad un vasto rastrellamento, lo catturarono con Raffaele Vecchietti e altri patrioti. Venne torturato, unitamente ai suoi compagni, uno dei quali, Luciano Serra, fu ucciso a colpi di pistola perché, ribellandosi alle sevizie, aveva preso a pugni un fascista. "Brunello" fu quindi trasferito a S. Giovanni in Persiceto. I partigiani nel tentativo di liberarlo, fecero saltare con la dinamite un'ala della caserma. Ma il colpo non riuscì e Maccaferri fu portato nelle carceri di S. Giovanni in Monte (BO). In seguito, non si sono più avute notizie certe sulla sua sorte. Secondo una versione venne ucciso in un tentativo di evasione; secondo un'altra versione fu ucciso e inumato in una fossa comune a S. Ruffillo, il 29 marzo 1945. Riconosciuto partigiano, con il grado di vice comandante di Brigata, ad Adelfo Maccaferri è stata conferita la Medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione: «Anima fiera ed ardente, fra i primi a partecipare alla lotta di Liberazione, eletto per valore e ardimento Vice Comandante di Brigata Partigiana, guidava eroicamente i suoi uomini in aspri cimenti. Dopo aver valorosamente combattuto alle porte di Bologna, cadeva prigioniero in uno scontro con preponderanti forze tedesche, subiva inumane sevizie e barbaramente trucidato ascendeva al cielo degli Eroi».