Adele Bei
Nel 1925, quando era entrata a far parte dell'organizzazione clandestina del Partito comunista, Adele Bei faceva la casalinga. Incaricata dal suo partito di recarsi a Parigi per prendere contatti con i compagni fuorusciti in Francia, la Bei espatriò clandestinamente, tornando a più riprese in Italia per organizzarvi la lotta contro il fascismo. Nel 1933 fu arrestata e l'anno seguente processata dal Tribunale speciale. Durante gli interrogatori e nel corso del processo, i giudici in camicia nera cercarono di speculare sui suoi sentimenti di madre, ricordando alla Bei i suoi due bambini lasciati in Francia. Lei rispose: "Non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stano soffrendo la fame in Italia". Il Pubblico ministero si scagliò allora contro l'imputata, definendola "socialmente pericolosissima". Così Adele Bei fu condannata a 18 anni di reclusione. Ne trascorse quasi dieci nel penitenziario femminile di Perugia e fu scarcerata con la caduta di Mussolini.
La Bei fu presto molto attiva nella Resistenza, combattendo con i patrioti romani e organizzando la partecipazione delle donne alla lotta contro i nazifascisti. Dopo la Liberazione è stata l'unica donna a far parte della Consulta nazionale su designazione della CGIL. Il 2 giugno 1946 fu, nel Gruppo parlamentare comunista, tra le 21 donne elette all'Assemblea costituente. Membro del CC del PCI, Adele Bei è stata senatrice di diritto nella prima Legislatura repubblicana ed è poi stata deputata comunista dal 1953 al 1963 nella II e nella III Legislatura, occupandosi via via di Lavoro, Previdenza sociale, Commercio, Finanze e tesoro e Difesa.
Su Adele Bei, nel 1999, S. Lunadei, L.Motti e M.L. Righi hanno pubblicato il volume È brava, ma...: donne nella CGIL 1944-1962.