Quinto Bevilacqua
Figlio di braccianti agricoli, penultimo di sei fratelli, Quinto, terminate le scuole elementari, va subito al lavoro come bracciante. Due dei suoi fratelli maggiori, Arturo e Costante, socialisti come il resto della famiglia, avevano già lasciato Marmorta, per trasferirsi a Torino e sottrarsi così alle angherie dei fascisti locali. Nel capoluogo piemontese, i Bevilacqua riescono a mettere in piedi una piccola azienda edile, specializzata nella realizzazione di mosaici e Quinto, che ha sposato Marcella Calzolari, figlia di un militante socialista di Molinella, li raggiunge nel 1942. Lavora con i fratelli, va di sera a scuola di disegno, anche lui mantiene (come han sempre fatto Arturo e Costante, ricavandone qualche fermo di polizia, quando a Torino sbarcava qualche pezzo grosso fascista), i contatti con i vecchi socialisti di Molinella.
Il richiamo alle armi, nell'Artiglieria di montagna, allontana Quinto dai fratelli, ma è a Torino che ritorna quando comincia il "tutti a casa" ed è a questo punto che l'operaio emiliano s'impegna nel lavoro cospirativo, indirizzato soprattutto verso le fabbriche.
Per il suo impegno e le sue capacità è nominato segretario della Federazione provinciale socialista, e in quanto tale fa parte del Comando militare del CLN regionale. Ma soltanto per due settimane potrà svolgere la sua attività.
Il 28 marzo 1944 è arrestato e quando il Tribunale speciale processa i membri del CMRP, Bevilacqua è tra i sette patrioti che saranno fucilati alla schiena con il generale Perotti al Poligono del Martinetto. Il 3 aprile, Quinto scrive ai suoi l'ultima lettera e li rincuora dicendo: "... vado incontro alla morte con una risolutezza che non mi sarei mai creduto, perciò siate forti".
A Torino gli hanno intitolato una strada.