Felicita Seregni
Di famiglia operaia, a dodici anni (morto il padre in un infortunio sul lavoro), Felicita prese a lavorare in una fabbrica tessile. Pochi anni dopo, ancora ragazzina, cominciò per lei l'impegno politico clandestino, con l'ingresso in una cellula comunista che si era costituita a Cusano. La casa dei Seregni divenne, in quegli anni, temporaneo rifugio di antifascisti, che si preparavano ad espatriare per sottrarsi alle persecuzioni del regime.
Nel 1931, con l'arresto di Osvaldo (uno dei fratelli di Felicita, che sarebbe poi morto sul fronte greco-albanese nel 1940), e la sua condanna ad un anno e sei mesi di reclusione da parte del Tribunale speciale, si dovette rinunciare ad assicurare ospitalità agli antifascisti, ma Felicita continuò nella sua attività di propaganda nelle fabbriche. Con l'armistizio e il conseguente sbandamento dei soldati, gli abiti civili che erano stati di Osvaldo divennero oggetto di scambio con le armi che la donna e il suo futuro marito, Ettore Grassi, facevano poi arrivare alle prime formazioni partigiane.
Staffetta del Triumvirato insurrezionale della Lombardia, attiva nel "Soccorso Rosso", responsabile dell'organizzazione comunista clandestina di Cusano, Felicita, nel maggio del 1944, riuscì rocambolescamente a sfuggire ai fascisti che avevano fatto irruzione nella sua casa. Continuò nel suo impegno, col nome di copertura di Ada Rossi, sino alla Liberazione. Nel dopoguerra Felicita Seregni, che dopo un breve periodo a Crema si era stabilita a Milano, fu delegata sindacale nella Lega tessili, attiva nell'UDI, promotrice della costituzione del Sindacato inquilini. Quando, nel 1980, scomparso il marito, tornò a Cusano Milanino, assunse la presidenza della locale sezione dell'ANPI e, per oltre vent'anni, si prodigò per mantenere vivo il ricordo della Resistenza e dei suoi valori.