Alfonso Gatto
Interrotti gli studi universitari a Napoli, nel 1934 si era trasferito a Milano vivendo di collaborazioni a varie riviste italiane sino a che non era stato assunto al quotidiano del pomeriggio L’Ambrosiano. Arrestato dalla polizia fascista per attività contro il regime, nel 1936 era finito a San Vittore. Scarcerato dopo sei mesi, Gatto trova un lavoro di correttore di bozze al Corriere della sera, dove rimane sino a che non si trasferisce a Firenze. Qui, con Vasco Pratolini fonda e dirige Campo di Marte, un quindicinale di lettere ed arti che sottintende la necessità di condurre nella cultura e nella politica un’attiva opposizione al fascismo. È il 1940 quando il poeta, che l’anno prima aveva pubblicato a Milano il volume Poesie, tenta (senza riuscirci, perché è notoriamente antifascista), di farsi assumere al quotidiano la Nazione di Firenze. Dopo l’8 settembre 1943 il poeta prende parte alla Resistenza e, dopo la Liberazione torna all’attività giornalistica. Nominato per “chiara fama” professore di Lettere al Liceo artistico di Bologna, Alfonso Gatto nel dopoguerra è nel capoluogo lombardo per codirigervi il quotidiano Milano-sera. Tra la fine del 1946 e il 1947 è a Venezia come redattore capo del Mattino del popolo. Nell’estate del ’47 è a Torino nella redazione del quotidiano del PCI l’Unità e, con Vasco Pratolini, segue il Giro d’Italia nelle edizioni di quell’anno e del 1948. È anche il periodo in cui, a Roma, dirige il quindicinale Pattuglia. Del 1947 sono le sue Liriche della Resistenza, sulla quale ebbe a scrivere: “… non è un momento eccezionale dell’essere: essa è, all’opposto, un tempo che dura, il farsi nel tempo e nella storia di una coscienza comune. Bisogna lavorare permanentemente per una rivoluzione che abbia nell’uomo il suo centro”. Alfonso Gatto, che nel 1951, era uscito dal PCI, continuò a scrivere per diversi giornali. Per Epoca scrisse di un viaggio in Sardegna, di santuari del centro-sud, di un viaggio a Pompei che gli ispirò la lirica Sera a Pompei. Ha seguito due edizioni del “Tour de France” ed è stato anche redattore sportivo del quotidiano milanese Il Giornale, quando era diretto da Indro Montanelli. Ha lavorato pure per la RAI, impegno che l’aveva indotto a trasferirsi a Roma. L’errabondo poeta è morto in un incidente stradale presso Capalbio; è sepolto nel cimitero di Brignano (SA); sulla sua tomba sono incise le parole dell’amico Eugenio Montale: “Ad Alfonso Gatto/per cui vita e poesie/furono un’unica testimonianza/d’amore”.