Alberto Bardi
I suoi genitori si erano trasferiti dalla Toscana nel Ravennate, a Mezzano.
A Ravenna, Alberto prese a studiare Pittura finché, come ufficiale degli Alpini, fu mandato sul fronte russo. Sopravvissuto alla disastrosa ritirata e tornato a Ravenna, il giovane nel settembre del 1943 militava già nelle formazioni partigiane operanti sull'Appennino forlivese.
Protagonista, nell'aprile del 1944 del vittorioso attacco alla caserma repubblichina di Sant'Agata Feltria (PU), “Falco” (questo il nome di battaglia di Alberto Bardi), nello stesso mese si battè a Casteldelci (PU), dove poi i nazifascisti avrebbero compiuto l'eccidio di trenta donne, vecchi e bambini.
Nel giugno a “Falco” fu affidato il comando della 28ma GAP “Mario Gordini”, che guidò sino a che non lo sostituì Arrigo Boldrini; nel settembre divenne membro del “Comando Piazza” di Ravenna, occupando sino alla Liberazione un ruolo di primo piano nella Resistenza romagnola.
La decorazione al valore che gli è stata attribuita ricorda che “… dapprima nella lotta clandestina, poi alle dipendenze di unità alleate ed infine a fianco e in stretta collaborazione con una grande Unità del nostro rinnovato esercito, ispirandosi alle più pure tradizioni del Risorgimento e del volontarismo garibaldino, ha lottato contro il tedesco nemico tradizionale ed ha vinto per la Libertà e la ricostruzione dell'Italia”.
Nel dopoguerra Bardi ha insegnato all'Accademia di Ravenna. Trasferitosi definitivamente a Roma agli inizi degli anni Sessanta, vi ha diretto dal 1967 alla morte quella “Casa della Cultura”. Dopo la scomparsa del pittore a Roma, Viterbo, Ravenna, Macerata, Gubbio, Cagliari e Cesena sono state organizzate sue importanti retrospettive. In occasione di quella romana, C. Spadoni nell'illustrare la rassegna del 1992, ha voluto citare una frase di Bardi che diceva: “Non ci si può ribellare solo a vent'anni; ciò non conta nulla perché a vent'anni è naturale. Credo che lo spirito di rivolta un uomo se lo deve portare dietro tutta la vita”.