Giuseppe Gheda
Aveva soltanto 14 anni quando aveva cominciato a lavorare come apprendista all'OM di Brescia. In quell'ambiente operaio aveva presto maturato idee democratiche e antifasciste e, all'annuncio dell'armistizio, sottraendosi ai bandi della repubblica di Salò, aveva lasciato la fabbrica. Raggiunta la banda partigiana delle "Fiamme Verdi", appena costituita dal colonnello Ferruccio Lorenzini, vi si aggregò col nome di battaglia di "Bruno". Durante il primo rastrellamento che le Brigate nere condussero in Val di Scalve, nel dicembre del 1943, "Bruno" fu catturato con altri 17 suoi compagni e il comandante della formazione. Condannato a vent'anni di reclusione, il ragazzo fu incarcerato a Brescia, dove già si trovava ristretto il comunista nisseno Leonardo Speziale. Dopo sei mesi di prigione "Bruno", che con il più anziano e politicamente preparato compagno siciliano aveva subito fraternizzato, riuscì fortunosamente a evadere con lui. Raggiunta la Val Trompia i due vi organizzarono la 122ma Brigata Garibaldi, di cui l'ardimentoso ragazzo divenne provvisoriamente il comandante, avendo al suo fianco come commissario politico il compagno più esperto. Per mesi la 122ma, il cui comando passò poi a Giuseppe Verginella, si batté in Val Trompia contro i nazifascisti, mentre al giovanissimo "Bruno" era stata affidata la guida di uno dei Distaccamenti. Fu durante un rastrellamento che, il 22 ottobre 1944 a Botticino, il ragazzo fu ferito. Sceso in un paese della Bassa bresciana per farsi curare, nel gennaio del 1945 Giuseppe Gheda, ristabilito, risalì in Val Trompia. Non vi trovò più Verginella, che era stato catturato e trucidato dai nazifascisti, ma proprio per questo riprese con maggiore determinazione la lotta. Si era ormai prossimi alla Liberazione quando, nell'ultimo rastrellamento che i nazifascisti condussero nella valle, "Bruno" cadde a vent'anni alle pendici del Sonclino, colpito a morte da una raffica nemica.