Giuseppe Maras
Il pomeriggio del 14 maggio del 2002, dalla Basilica di S. Lorenzo fuori le mura, a Roma, mentre impazzava, al solito, il traffico cittadino, si è visto uscire un feretro, sistemato su un vecchio affusto di cannone tirato a lucido. Sulla bara, una bandiera tricolore. Intorno: una compagnia di bersaglieri in armi, un gruppo di militari interforze, un drappello di carabinieri in alta uniforme e in congedo; la scenografia solenne, insomma, che com'è tradizione, accompagna i funerali dei decorati di Medaglia d'oro al valor militare. Fuori della consuetudine, però – oltre alla piccola folla di parenti e amici, di ex partigiani con il fazzoletto tricolore al collo (c'era anche un vecchio signore con camicia rossa e decorazioni, che reggeva un labaro dei garibaldini) – era il tricolore che ricopriva la bara. Non solo era sbiadito, ma al suo centro, nel bianco non più bianco, campeggiava una stella rossa e la scritta "Divisione Italia". Con quella bandiera, dall'8 settembre 1943, l'allora sottotenente dei bersaglieri Giuseppe Maras, divenuto col tempo per i suoi uomini, "Pino il generale", aveva, combattendo contro i tedeschi, attraversato in lungo e in largo la Jugoslavia. Ventidue mesi di combattimenti durissimi, come ricorda la motivazione della Medaglia d'oro conferita a Maras il 7 settembre 1968, sino a quando i "talianski" della Divisione Italia, insieme all'Armata Rossa e all'Esercito popolare jugoslavo, non avevano liberato Belgrado. Quel giorno gli uomini di Giuseppe Maras (alla Divisione Italia si era arrivati per gradi: prima la costituzione, subito dopo l'armistizio, quando molti comandi si erano sfaldati, del battaglione "Garibaldi", composto anche dai giovanissimi carabinieri della "Bergamo" oltre che da fanti, granatieri, artiglieri e marinai; poi la costituzione del battaglione "Matteotti"; quindi la fusione nella brigata "Italia" che sarebbe diventata Divisione), in mezzo alle macerie e alle cannonate, raggiunsero il palazzetto dell'ambasciata italiana abbandonato dai diplomatici e issarono, sul terrazzo, la bandiera tricolore. Forse proprio la bandiera che Giuseppe Maras aveva custodito per tutta la vita e che ha accompagnato il suo funerale.