Alfredo Sforzini
Chiamato alle armi all'inizio della Seconda guerra mondiale, fu mandato in Jugoslavia. Rientrato in Italia, Sforzini al momento dell'armistizio si trovava a Cavour, caporale in un reparto corazzato del reggimento "Cavalleggeri Monferrato". Per non farsi catturare dai tedeschi si diede alla macchia e divenne partigiano della IV Brigata Garibaldi, operante in Val Montuoso. Presto è nominato responsabile del Servizio Informazioni.
In seguito a delazione, Sforzini è sorpreso mentre si trova nella locanda "La Verna Nuova" di Cavour. È trasportato a Saluzzo e, per estorcergli informazioni, è sottoposto a indicibili torture. Non dice una parola ed è condannato a morte per impiccagione. Riportato a Cavour su un autocarro, il valoroso partigiano, quando il camion si ferma all'angolo tra piazza Statuto e via Pinerolo per l'esecuzione, con le proprie mani si mette il capestro al collo e gridando "Viva la libertà!" si butta dal suo patibolo. Il corpo di Alfredo Sforzini resterà appeso per quarantotto ore, con un cartello al collo sul quale è scritto: "Così finisce chi spara ad un tedesco". Il nome di Sforzini viene poi assunto dalla IV Brigata Garibaldi di cui aveva fatto parte e, dopo la Liberazione, il Consiglio comunale di Cavour gli dedica la piazza principale della Città.
Anche a Livorno una piazza è dedicata ad Alfredo Sforzini.