Pagliarulo: "Il Pride è una festa di liberazione dalle catene del pregiudizio e dell’esclusione"
Il Pride è il giorno dell’orgoglio. Leggo sul vocabolario alla voce “orgoglio”: sentimento non biasimevole della propria dignità, giustificata fierezza. Conoscete meglio di me la storia di questo appuntamento, che ha le sue radici negli anni 60 e nasce di fatto nel 1970 a New York come rottura consapevole e pacifica di regole sociali incardinate su un’idea di repressione. Era quello specifico ordine costituito che andava messo in discussione. E mi sovviene una frase di un famoso writer e poeta milanese, Ivan Tresoldi, che ha scritto: “L’ordine è un disordine con scarsa fantasia”. Ed è la fantasia o l’immaginazione – se volete – che fa dell’umanità quella strana specie di viventi in grado di trasformare consapevolmente, di creare. E se l’orgoglio è il sentimento della propria dignità, la prima rivendicazione del Pride è esattamente ciò che è disposto all’articolo 3 della nostra Costituzione, dove si afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Il Pride è un giorno di festa e di lotta, e il suo scudo costituzionale è proprio contenuto in queste parole dell’articolo 3. È la affermazione determinata e rigorosa di un intero capitolo di diritti, è la risposta della storia a secoli e secoli non solo di repressione, ma anche di persecuzione. Non posso dimenticare, come cittadino e come presidente nazionale dell’ANPI, i triangoli rosa nei lager nazisti. Se oggi possiamo celebrare il Pride in tutto il Paese, lo dobbiamo anche a quella vera e propria rivoluzione culturale che si avviò, prima con la Resistenza, e poi con la Costituzione. Si avviò una rivoluzione dei diritti. Si avviò, ho detto, ma non è stata ancora portata pienamente a compimento.
Ma non nascondiamoci quello che sta avvenendo qui ed ora nel nostro Paese, con un governo che fra mille contorsioni manifesta senz’altro una vocazione discriminatoria e repressiva, tesa a colpire qualsiasi diversità. È la fobia dell’altro. In una cultura democratica l’altro è lo specchio di me stesso, è una risorsa culturale e morale in più, è un’occasione ricorrente per essere pienamente persona, cioè non un individuo isolato, un numero, un consumatore, un algoritmo, bensì un singolo che entra in rapporto fecondo con altri singoli e in questa misura fa comunità, una comunità aperta, libera, accogliente.
L’altro, per chi discrimina, è il nemico, e il nemico c’è quando si è in guerra. Ed allora il nemico è cangiante e costante: oggi è il migrante, domani è la donna, dopodomani è colui che ha un’opinione politica o professa un credo religioso diverso dal tuo. E naturalmente le persone LGBTQIA+.
Ecco perché il Pride è una festa di liberazione dalle catene del pregiudizio e dell’esclusione, è la negazione aperta e conclamata dello schema mortale amico-nemico. Ed ecco perché, oggi più di ieri, il Pride assume un significato propriamente e nobilmente politico, non solo in quanto affermazione di diritti e di eguaglianza, per esempio, fra tutte le famiglie, ma anche come contrasto verso qualsiasi discriminazione e verso qualsiasi visione gerarchica della società.
Cos’è la gerarchia? È un ordine in base al quale c’è sempre qualcuno che sta sopra e qualcuno che sta sotto. Quest’ordine va infranto. 78 anni fa la Resistenza ruppe l’ordine della repubblica di Salò e dell’occupante nazista, seminando con soggetti, modalità e luoghi diversi, idee di democrazia, libertà ed eguaglianza che tanti anni dopo, di nuovo e ancora dobbiamo sostenere con ardimento costituzionale.
Il Pride è una grande festa sensoriale; una festa di colori, di luci, di suoni, di canti, di trasgressioni; è una manifestazione di traboccante energia; è una rivolta contro chi reprime, ma anche contro la tolleranza, perché questa presuppone che ci sia chi tollera e chi viene tollerato; è il ripudio di ogni violenza come forma di relazione fra le persone. Ma è anche, a ben vedere, la metafora di un’altra società, fondata sulla dignità e sul rispetto, governata dall’etica della fraternità, illuminata dai valori della persona, del lavoro umano, della pace. Dov’è questo progetto di società? C’è già. Si chiama Costituzione della Repubblica, e la sua realizzazione è l’obiettivo di una lotta lunga e difficile, ma che ci accomuna: la lotta per una società di nuovo umanesimo, che combatta ogni solitudine e si proponga in modo chiaro e distinto l’obiettivo della felicità sociale.
Buon Pride della Majella, e che sia di luce e di energia!
Messaggio di Gianfranco Pagliarulo per il Pride dell'Abruzzo che si svolgerà a Chieti il 24 giugno