101 donne che hanno fatto grande Roma
di Paola Staccioli, Newton Compton, 2011, pp.324, euro 14,90
Grande merito di questo libro è di avere evidenziato figure di donne “romane” rimaste fuori della ribalta della notorietà, o presto dimenticate, insieme a quelle più esaltate, come Cornelia (la madre dei Gracchi), Lucrezia Borgia, Artemisia Gentileschi, Paolina Bonaparte, Maria Montessori, Anna Magnani, Maria Bellonci, Elsa Morante.
Figure con tanto coraggio ed eroismo, dimostrati (soprattutto) da quelle del popolo, che si sono impegnate e sacrificate durante la Resistenza. A cominciare da Domenica Cecchinelli e da Teresa Gullace.
Fra l’8 e il 10 settembre 1943, a Roma, si combatte in varie zone. I morti sono centinaia (ventotto le donne). I conflitti più importanti scoppiano al ponte della Magliana, alla Montagnola, sulla via Laurentina, all’Ostiense e, infine, a Porta San Paolo dove, la mattina del 10, si accende l’ultima battaglia, che si propaga in vari quartieri.
Termina così il primo valoroso capitolo della Resistenza romana; per la città si apre il periodo dell’occupazione nazista. Domenica Cecchinelli è la madre di cinque figli. Abita alla Montagnola. Durante gli scontri di quei giorni la gente della borgata romana sostiene i militari e si adopera per portare al riparo e curare i feriti.
La sera del 9 settembre Domenica, incurante delle minacce dei tedeschi, soccorre un carrista ustionato della divisione Ariete. Alcune fonti riferiscono che è sorpresa mentre sta faticosamente tirando fuori dalla torretta di un cingolato il giovane. La donna è crivellata di colpi. Alla Montagnola sono uccise anche Pasqua Ercolani D’Angelo, Rosa Tozzi e Maria Dieli-Barile, falciata da una sventagliata di mitra, mentre con bende e acqua cerca di aiutare militari e civili che resistono.
Poco lontano, nel Forte Ostiense, sede di un orfanatrofio, le suore di Sant’Anna hanno allestito un ospedale di fortuna per assistere i feriti e ricomporre i corpi dei caduti. Una di loro, suor Teresina (al secolo Cesarina D’Angelo), vedendo un militare nazista che sta strappando una catenina d’oro dal corpo senza vita di un soldato italiano, gli si scaglia contro, colpendolo con un crocifisso di metallo. Il tedesco, con la faccia sanguinante, prende il mitra per reagire, poi si ferma. Suor Teresina morirà di malattia nel maggio 1944.
Il 3 marzo 1944 la morte di Teresa Talotta Gullace ebbe una notevole eco nella città; la sua vicenda venne ripresa e resa celebre dal regista Roberto Rossellini, che prenderà spunto dalla Gullace per il personaggio della “Sora Pina”, interpretata da Anna Magnani, nel film “Roma città aperta”.
All’epoca del fatto, Teresa aveva 37 anni, cinque figli ed era in attesa del sesto. Suo marito, Girolamo Gullace, era stato arrestato dai nazisti il 26 febbraio 1944, nel corso di un rastrellamento, e portato in una caserma di viale Giulio Cesare. Qui la donna lo andò a cercare, insieme alle mogli di altri prigionieri, la mattina del 3 marzo. Secondo le testimonianze raccolte, dopo aver scorto il marito a una finestra, Teresa tentò di avvicinarsi, incurante del divieto urlatole da un soldato tedesco che, vedendola avvicinarsi, sparò un colpo, uccidendola.
Nei giorni e nelle settimane seguenti (segnati tra l’altro, dalla strage delle Fosse Ardeatine), la tragica storia divenne un simbolo della Resistenza, non solo romana.
Il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, nel 1977 le conferì – alla memoria – la Medaglia d’oro al merito civile. Questa la motivazione: “Madre di cinque figli e alle soglie di una nuova maternità, non esitava ad accorrere presso il marito imprigionato dai nazisti, nel nobile intento di portargli conforto e speranza. Mentre invocava con coraggiosa fermezza la liberazione del coniuge, veniva barbaramente uccisa da un soldato tedesco”.
Le donne all’assalto dei forni. A Roma, tra la fine di marzo e gli inizi di aprile 1944, le autorità tedesche diminuiscono la distribuzione ufficiale di viveri e la già misera razione giornaliera di pane nero: cento grammi a testa, invece dei precedenti centocinquanta. Le donne romane, esasperate, si ribellano. A volte sono i gruppi femminili della Resistenza a organizzare la protesta; basta spesso il passaparola. Le casalinghe si ritrovano in strada (bambini al seguito) per assaltare i forni, saccheggiare camion, fronteggiare gli occupanti, armate solo delle sporte per la spesa. La rivolta dilaga nelle borgate popolari, ma anche nei quartieri della piccola e media borghesia, obbligando i nazifascisti a scortare i convogli e a presidiare i punti di distribuzione.
La mattina del 7 aprile, un gruppo di donne prende di mira il mulino-forno Tesei, sul Tevere, vicino al ponte di ferro (oggi Ponte dell’Industria), dove c’è anche un deposito di farina bianca per le truppe di occupazione. In quel momento non c’è sorveglianza militare; il direttore chiude un occhio. Le donne entrano, si appropriano di pagnotte e di qualche sacco di farina, ma una spiata fa arrivare una pattuglia nazifascista. Nel fuggi fuggi generale, dieci sono uccise. Di loro restano i nomi sulla lapide di bronzo murata all’ingresso del ponte.
Il 3 maggio, dalla parte opposta della città, al Tiburtino III (una serie di caseggiati popolari), un gruppo di donne ritornava alle proprie abitazioni con le borse piene di pane prelevato dopo un assalto a un forno. Bloccate da un drappello della PAI (Polizia Africa Italiana) si rifiutarono di riconsegnare il prezioso carico.
I militari cominciarono a sparare e uno di loro colpì a morte Caterina Martinelli. La donna stramazzò a terra, cadendo sopra la figlioletta lattante che aveva in braccio; la bambina sopravvisse, ma ebbe la spina dorsale lesionata. Una dedica epigrafica, dettata dal poeta e partigiano Mario Socrate, scritta su semplice cartone, comparve il giorno dopo sul marciapiede dov’era caduta Caterina: “Qui i fascisti hanno ammazzato/Caterina Martinelli/Una madre che non poteva/sentir piangere dalla fame/tutti insieme/i suoi sette figli” (i figli in realtà erano sei).
Dopo qualche giorno, per attenuare il clima di impopolarità contro i restrittivi provvedimenti, gli occupanti effettuarono alcune distribuzioni straordinarie di generi alimentari.
Un comunicato di Radio Londra elogiò l’operato delle donne romane che, per l’Autrice di queste biografie, è uno dei simboli della “Resistenza civile”: “Aiutando militari al fronte, disertori, partigiani, famiglie di prigionieri e di deportati spesso sconosciuti, le donne romane sono andate ben oltre l’innato istinto volto alla protezione dei propri cari, esprimendo una precisa scelta di campo”.
Paola Staccioli, giornalista freelance, ha curato raccolte di racconti sulla Resistenza e sulle lotte politiche e sociali della seconda metà del Novecento.