Partigia
Sergio Luzzatto, Mondadori, 2013, pp.374, euro 19,50
Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1943, Primo Levi fu arrestato, in località Amay (Valle d’Aosta), durante un rastrellamento della milizia fascista contro i partigiani. Con lui furono catturati Luciana Nissim, Vanda Maestro, Aldo Piacenza e Guido Bachi che avevano dato vita a un raggruppamento affiliato a “Giustizia e Libertà”.
Nonostante quest’episodio dia iniziato a tutto il suo calvario di ebreo deportato ad Auschwitz, Primo Levi parlerà poco e saltuariamente della sua permanenza in montagna tra i partigiani. Arriverà anche a definirlo “il periodo più opaco” della sua vita. “È una storia di giovani bene intenzionati ma sprovveduti – scriverà – e sta bene tra le cose dimenticate”. Qual è la causa di un giudizio così severo, accompagnato da un silenzio interrotto solo da alcune pagine di un racconto e da cenni contenuti in opere letterarie e di testimonianza?
Una indicazione è data dalla presentazione del libro di Luzzatto da parte di Edoardo Castagna (“Avvenire”, 20 aprile 2013).
“Profondamente piemontese – scrive Castagna – Primo Levi portava nell’opera i due tratti più profondi della sua terra: il pudore e il rigore. Due fattori che aiutano a capire perché, nel complesso della sua vasta produzione, i trascorsi partigiani occupino così poco spazio. Nell’Italia del dopoguerra Levi non sbandierava le sue benemerenze resistenziali. Per pudore, appunto; ma anche perché – ed è il rigore – aveva coscienza di quanto poco avessero inciso nella sua parabola esistenziale e, di conseguenza, quanto poco avrebbero dovuto incidere nella sua parabola intellettuale”.
Perché Levi era stato partigiano, come accennato, quasi per caso e per poche settimane (lo scrive fugacemente in “Se questo è un uomo” e per poco più anche in “Il sistema periodico”). Nel gruppo in cui si era inserito, si scoprirà dopo, c'era un po' di tutto: dagli infiltrati a dei poco di buono. Levi non ebbe il tempo di approfondire: venne catturato a quanto pare per una delazione.
Però durante quella sua esperienza vennero sommariamente giustiziati due compagni. E su questo episodio è incentrato il libro di Luzzatto.
I “partigia” erano – secondo un modo di dire piemontese – i combattenti della Resistenza, decisi e svelti di mano. Scavando in quel “fatto”, su quel "segreto brutto", e allargando lo sguardo dalla Valle d’Aosta all’Italia del nord-ovest, Sergio Luzzatto racconta – attraverso una storia della Resistenza - il dilemma della scelta che dopo l’8 settembre 1943 molti giovani di una nazione allo sbando dovettero affrontare.
Sergio Luzzatto insegna Storia moderna all’Università di Torino. Studioso della Rivoluzione francese, ha scritto anche di storia italiana tra Otto e Novecento./p>