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La tradizione del Risorgimento

di Leone Ginzburg, Castelvecchi Ed., 2014, pp.59, euro 9,00

Un libro in ricordo di Leone Ginzburg, letterato ed esponente di spicco dell’antifascismo italiano e della Resistenza, a settant’anni dalla sua scomparsa, il 5 febbraio 1944, avvenuta in una cella del carcere romano di Regina Coeli, nel ramo controllato dai tedeschi, per le torture subite. Era stato arrestato il 20 novembre del 1943.

Nella primavera di quell’anno, mentre era al confino in Abruzzo, nel paese di Pizzoli, Ginzburg (nato a Odessa nel 1909) cominciò a lavorare a queste pagine, intitolate “La tradizione del Risorgimento”. All’inizio del saggio, l’Autore precisava, infatti, che “L’Italia in cui viviamo e operiamo non è pensabile senza il Risorgimento”. Un lavoro che avrebbe dovuto comprendere i profili di Carlo Cattaneo, di Cavour, di Vincenzo Gioberti, di Carlo Pisacane e di Giuseppe Mazzini.

Al fondatore della “Giovine Italia”, che apprezzava maggiormente, Ginzburg dedicò più pagine di questo saggio.
La stesura del libro fu interrotta con il 25 luglio del 1943, con la caduta del regime fascista. Dopo l’8 settembre, Ginzburg divenne protagonista della Resistenza nel Partito d’Azione.

Con la Liberazione, nel 1945, il critico letterario Carlo Muscetta, che era stato catturato con Ginzburg, nella redazione del giornale “L’Italia libera”, organo del Partito d’Azione, pubblicò sulla rivista “Aretusa” le poche pagine scritte dall’amico.

A commento di questa edizione, che ha mantenuto il titolo originale, è stato sottolineato che il manoscritto è una appassionata e lucida rivalutazione del pensiero e dell’azione concreta di Mazzini: “fatalmente sottovalutata dai machiavellici suoi concorrenti e avversari, incapaci di persuadersi che, nella politica, come in qualsiasi altro aspetto della vita degli uomini, le forze morali hanno un peso che nessuna astuzia o prepotenza saprà mai usurpare”.

Sono pagine dove è rivalutato il ruolo politico di Mazzini ed è evidenziata la distanza tra i nazionalismi del tempo e l’amore per la Patria, che muoveva le insurrezioni dell’800; ponendo così le basi per quella filiazione diretta tra Risorgimento e Resistenza che avrebbe dovuto portare non solo alla Liberazione del Paese, ma alla nascita di una società nuova.

Nella prefazione, Maurizio Viroli ricorda una testimonianza di Norberto Bobbio, coetaneo e compagno di Ginzburg  al liceo “Massimo d’Azeglio” di Torino; secondo la quale, Ginzburg si mise all’opera per scrivere un ampio studio sul Risorgimento perché riteneva dovere prioritario dell’intellettuale antifascista coltivare seriamente gli studi umanistici, in particolare la Storia, per capire gli errori del passato e la decadenza presente, e cercare i rimedi necessari per uscire da questa, senza ricadere nei primi.