La strage di Farneta
di Luigi Accattoli, Rubbettino Ed.,2013, pp.144, euro 12,00
È la storia sconosciuta dei dodici certosini fucilati dai tedeschi nel 1944.
Luigi Accattoli scrive nella premessa che, in queste pagine, racconta un fatto primario della reazione italiana all’occupazione tedesca e, forse, il più corposo dal punto di vista cristiano.
I monaci avevano nascosto nel monastero della Certosa di Farneta (Lucca) un centinaio di ricercati dai nazifascisti: perseguitati politici, partigiani ed ebrei. Fatti prigionieri dalle SS, nella notte tra l’1 e il 2 settembre 1944, condotti prigionieri a Nocchi di Camaiore e, poi, a Massa, furono uccisi a piccoli gruppi e in diversi luoghi, tra il 7 e il 10 di quel mese, insieme a trentadue persone che erano state accolte nella Certosa: in parte perché ritenuti colpevoli di resistenza all’occupante, alla pari dei monaci; in parte “selezionati” per fare numero in operazioni di rappresaglia, insieme a decine di altri rastrellati in quelle giornate di ritirata delle truppe tedesche.
Per Accattoli, straordinari aspetti simbolici arricchiscono la vicenda: i dodici vengono da sei Nazioni, hanno età diverse, portano con loro esperienze singolari. Tre sono di lingua tedesca (ciò non servì a salvarli); uno era stato vescovo in Venezuela (ne era stato scacciato da un dittatore e i nazisti lo consideravano una “spia americana”); un altro era spagnolo e, in patria, otto anni prima, si era avventurosamente salvato da un analogo assalto alla Certosa di Montalegre, da parte dei “rossi”.
I nomi dei dodici certosini sono elencati nel libro, nell’ordine in cui furono fucilati. I primi due il 7 settembre 1944, sulle pendici di Montemagno: Martino Binz, sacerdote, svizzero di lingua tedesca, e priore della comunità dal 1940; Bernardo Montes de Oca: era stato vescovo di Valencia (Venezuela), ma è solo un novizio. È l’unico dei dodici a non essere sepolto nella Certosa: i suoi resti, riconosciuti solo nel febbraio 1947 dai frammenti del breviario ritrovati nel luogo della fucilazione, sono stati portati in Venezuela e sepolti nella cattedrale di Valencia. È anche l’unico ad avere avuto fin d’allora onoranze di martire, prima a Lucca, poi a Roma e, infine, in patria.
Tra gli altri dieci certosini fucilati, spicca la figura di Gabriele Maria Costa, sacerdote, “procuratore” della Certosa dal 1942. È l’unico tra i confratelli a sapere tutto dell’opera di accoglienza dei ricercati e ad avere la piena percezione del rischio che ciò comporta; il “procuratore”, infatti, è l’economo della Certosa, il responsabile delle attività dei “fratelli” laici che conducono i lavori agricoli e artigianali del monastero, il gestore delle proprietà della comunità al di fuori del muro di cinta; l’unico a curare le relazioni con l’esterno, comprese – nel suo caso – quelle necessarie al soccorso prestato agli ebrei e ai perseguitati. Per questi impegni, più volte, nei mesi dell’occupazione tedesca, era uscito dalla Certosa in abiti borghesi, per non esporre la comunità monastica ai rischi che correva.
Sue sono le parole che, confidate durante la prigionia ai monaci sopravvissuti, esprimono una perfetta consapevolezza della situazione: “Se veniamo uccisi voi dite che è stato a causa della carità”.
Per l’accoglienza degli ebrei è in contatto con Giorgio Nissim. È amico di Gino Bartali, attivo anche lui nell’opera di salvataggio degli ebrei. Durante il periodo trascorso nella Certosa di Firenze (1929-1933) conobbe Giorgio La Pira, di cui fu confessore e che scrisse la prefazione della biografia di San Bruno, pubblicata da padre Costa con lo pseudonimo di A.Mariani, non essendo permesso ai certosini di apparire come autori di pubblicazioni. L’intelligenza collettiva, scrive ancora Accattoli, in relazione ai fatti di Farneta, ha trovato un’espressione compiuta nella motivazione della medaglia al merito civile, assegnata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel 2011: “Comunità conventuale sempre occupata nel soccorso dei più deboli, durante l’ultimo conflitto mondiale, con spirito cristiano ed encomiabile virtù civile, si prodigava offrendo aiuto ai perseguitati, agli ebrei e a quanti sfuggivano ai rastrellamenti. Subiva la feroce rappresaglia da parte dei soldati tedeschi che pure aveva accolto, sacrificando la vita di numerosi suoi Certosini, separati dai confratelli, deportati e dispersi. Nobile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà”.
La riservatezza dei Certosini sull’accaduto e il “conflitto interpretativo” dell’evento (tra chi lo percepiva in chiave “resistenziale” e chi come “opera di carità”) hanno impedito che questa tragica storia fosse conosciuta dal grande pubblico. Luigi Accattoli ha ottenuto dall’Ordine Certosino l’autorizzazione a pubblicare un documento riservato e, fino a oggi, inedito: la “Relazione sul martirio dei monaci di Farneta, uccisi dai tedeschi nel settembre del 1944, redatta da un monaco certosino nel 1999, su richiesta della Pontificia Commissione per la Commemorazione dei Testimoni della Fede del secolo XX, che si tenne al Colosseo, domenica 7 maggio 2000, nell’ambito del Grande Giubileo dell’anno Duemila”. Accattoli ha raccolto anche le testimonianze dirette degli ultimi protagonisti dei fatti.
Luigi Accattoli, giornalista del “Corriere della Sera” dal 1981; dal 1975 al 1981 ha lavorato alla “Repubblica”. Collabora alla rivista “Il Regno”. Nel 2011 ha pubblicato un volume sul mondo delle Certose.