Suor Enrichetta Alfieri
Luisa Bove, "Suor Enrichetta Alfieri. L’angelo di San Vittore". Ed. Paoline (2011), pag.222, Euro 14,00.
Suor Enrichetta Alfieri, “l’angelo di San Vittore” o “la mamma di San Vittore”, era entrata a vent’anni tra le suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Ma si ammalò presto, restando paralizzata per tre anni. Nel 1923 guarì improvvisamente, dopo aver bevuto l’acqua della grotta di Lourdes. In seguito fu destinata alla comunità delle suore del carcere di San Vittore, a Milano. Nominata superiora, aprì scuole all’interno del carcere, laboratori, asili nido per i figli delle detenute.
Il 10 settembre 1943, i tedeschi occuparono Milano e imposero il loro controllo anche sul carcere di San Vittore. Era il tempo dei rastrellamenti e delle deportazioni degli ebrei e dei perseguitati, soprattutto politici, e San Vittore divenne così un punto di raccolta e di smistamento. Suor Enrichetta, coadiuvata dalle consorelle, si prodigò per alleviare tanta tragica sofferenza, facendo da tramite tra i prigionieri e le loro famiglie, ancora libere.
Nel 1944 fu arrestato Indro Montanelli, insieme a sua moglie Margherita. I ricordi più puntuali sono proprio quelli di Montanelli: “Di nitido nella memoria mi è rimasto soltanto un fruscio. Leggero, quasi impercettibile. Ma nel deserto delle giornate in cella divenne ben presto l’epicentro di ogni speranza e aspettativa. Il fruscio era quello della veste di suor Enrichetta… All’inizio, quel fruscio benedetto annunciava un messaggio: poche righe buttate giù in fretta, da leggere col cuore in gola, ma ogni parola riaccendeva la vita. Poi, una notte, suor Enrichetta aprì silenziosamente la porta della mia cella. Non disse nulla e sempre senza parlare mi guidò dove si trovava mia moglie. Fu il primo di brevissimi ma innumerevoli incontri notturni. Solo chi ha provato la desolazione della prigionia può capire il valore dell’abbraccio di una persona cara. Per quei pochi istanti rubati alla disperazione, suor Enrichetta rischiava la deportazione, forse la vita. Né io e mia moglie fummo gli unici beneficiari della sua coraggiosa carità: fra i tanti, ricordo anche un Mike Bongiorno non ancora ventenne, detenuto insieme alla madre che era cittadina americana. A San Vittore faceva lo scopino e ben presto divenne la colonna della caritatevole rete clandestina di suor Enrichetta”. In seguito, Montanelli scrisse: “Suor Enrichetta era una stupenda figura di religiosa… Era amatissima da tutti i detenuti. Tutti noi ricevevamo, grazie alla sua regia, bigliettini e informazioni”.
Fra i tanti sacerdoti che finirono nel carcere milanese di piazza Filangieri, c’era anche don Paolo Liggeri, poco più che trentenne, che ammetterà: “Prima del mese di marzo del 1944, non sapevo neanche che esistesse suor Enrichetta. Il fatto è più che comprensibile, perché lei viveva e operava beneficamente, come una reclusa fra le donne recluse… Quando finalmente venni trasferito in una cella da condividere con un altro detenuto, fui anche inserito fra i cosiddetti lavoranti del carcere, precisamente come addetto alla biblioteca e alla distribuzione di libri da recare personalmente a coloro che rimanevano in segregazione… Ricordo, per esempio, di avere più volte annotato su una pagina di un libro, destinato a detenuti in attesa di essere interrogati, comunicazioni importanti, da parte di loro compagni che erano stati già interrogati. Non potevo trattenermi a conversare con il singolo detenuto segregato, ma con la scusa di esporre il contenuto del libro trovavo il modo di suggerire la lettura di una certa pagina nella quale avevo annotato la comunicazione”.
Nella metropoli ambrosiana era aperta la caccia agli ebrei. Nella questura milanese erano scritti, in ordine alfabetico settemilacinquecento nomi. Molti, intanto, erano riusciti a sfollare, soprattutto nei paesi di montagna dove avevano trovato abitanti ben disposti nei loro confronti, se non addirittura le stesse autorità locali. Altri avevano cambiato nomi e indirizzo, falsificando documenti. Ma nelle reti della polizia caddero circa ottocento persone. Tutte furono deportate in Germania e pochissime fecero ritorno dai campi di sterminio.
Suor Enrichetta faceva di tutto per assisterli; quando venivano deportati e erano scene che le straziavano il cuore, già malato e provato. Voleva essere presente a tutti i costi; si collocava in punti strategici per non dare troppo nell’occhio. Spesso le operazioni si svolgevano nel cuore della notte o alle prime luci dell’alba. Nessuno veniva risparmiato: si prelevavano persone anche malate o che non si reggevano neppure in piedi.
Una sorta migliore ebbe una donna, in procinto di partire per la Germania, insieme a un gruppo di ebrei. Suor Enrichetta non riuscì a staccare lo sguardo da quella poveretta che aveva una creatura in grembo e l’altra per mano. A un certo punto decise di intervenire e di rivolgersi direttamente al caporale Franz: “Se ha una moglie o un bambino anche lei”, disse additandogliela, “pensi a queste creature che non hanno niente di diverso da loro e faccia qualcosa per salvarle”. Le parole accorate della suora inerme fecero breccia. Franz non soltanto annullò la partenza della donna con le sue due creature, ma ne dispose l’immediata scarcerazione.
Quando le suore della carità uscivano da San Vittore per portare messaggi, incontravano anche i membri del CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), gli uomini più ricercati, andavano o mandavano a indirizzi sconosciuti avvertimenti e note di salvezza, ricevevano a recapiti fissi viveri, indumenti, denaro. Le suore rientravano imbottite di ogni sorta di cose e di posta, nelle maniche, nelle pettorine, nelle tasche, nelle scarpe, nelle cuffie. Suor Gasparina raccomandava prudenza; ogni volta che si chiedeva, suor Radegonda diceva di no e poi faceva. Suor Maria Grazia era sempre in funzione: “Suora, non ha paura?, “Tanta…”, rispondeva subito franca, col più bel sorriso. Erano tutte spaurite, tutte trepidanti. Ma se occorreva erano pronte ad andare con i messaggi più strani, a difendere o a difendersi con l’abilità più consumata, a rischiare le pene in cui sarebbero incorse.
Accusata di spionaggio, suor Enrichetta fu arrestata e internata nei sotterranei di San Vittore. Processata e condannata alla fucilazione, venne graziata per l’intervento del cardinale Schuster. Dopo la Liberazione di Milano, tornò a San Vittore per continuare la sua missione. Qui morì, in odore di santità, nel 1951. Aveva vissuto quasi trent’anni, nei corridoi delle celle, a consolare e ad aiutare come poteva. Nel decimo anniversario della fine della guerra, nel 1955, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane assegnò alla sua memoria un attestato di riconoscenza, per ciò che aveva fatto in difesa degli ebrei, durante l’occupazione nazista. Il 28 settembre 1985, in occasione del 40° della Resistenza, l’Arcivescovo di Milano consegnò una medaglia e una pergamena alla memoria di suor Enrichetta. Sull’attestato c’era scritto: “Carlo Maria Martini, cardinale arcivescovo, esprime la riconoscenza della Chiesa di Milano a madre Enrichetta Alfieri per l’opera svolta negli anni della Guerra di Liberazione, attuando quella ribellione per amore che riscattò l’uomo da menzogna viltà e paura”.
Il Comune di Milano, il 7 dicembre 1991 conferì una medaglia d’oro di benemerenza civica alla memoria, con questa motivazione: “Superiora delle Suore della Carità nella casa circondariale di San Vittore, per decenni vi svolse la sua missione con ineguagliabili doti di amore e altruismo. Durante gli anni bui dell’occupazione nazista non esitò a esporsi in prima persona salvando numerosi ebrei e antifascisti milanesi dalla deportazione. Condannata a morte, e successivamente al confino, liberata alla fine della guerra, riprese la sua attività con inalterata passione”.
Il 30 gennaio 1995 si svolse la sessione di apertura del processo diocesano di canonizzazione di suor Enrichetta. Il 19 dicembre 2009 papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto con il quale è stata dichiarata Venerabile.
Il 2 aprile 2011, con una lettera alla diocesi, il cardinale Dionigi Tettamanzi ha annunciato la sua beatificazione, per la domenica 26 giugno, in piazza Duomo, a Milano. E, ricordando il suo ministero di carità a San Vittore, l’Arcivescovo ha scritto: “Il carcere divenne la sua Casa, il luogo del suo amore. Diceva: La carità è un fuoco che, bruciando, ama espandersi”.
Luisa Bove, giornalista, ha pubblicato: “Carlo Maria Martini, una voce nella città” (2003), “Don Carlo Gnocchi” (2009). Nel 2008 ha ricevuto il premio giornalistico della Croce Bianca di Milano, indetto in occasione del suo centenario.