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Il tenore partigiano

Nicola Stame: il canto, la resistenza, la morte alle fosse ardeatine. Lello Saracino, Edizioni Alegre (2015), pag.206, Euro 15,00.

A Roma, in Via Torino, su un muro del Teatro dell'Opera, c'è una targa che ricorda il tenore Nicola Ugo Stame che, nel 1939, in quel teatro, mentre provava “Turandot” di Puccini, nel ruolo di Calaf, fu arrestato per antifascismo. Nella targa è riportato anche che “per la coerenza delle sue idee, il 24 marzo 1944, dopo essere stato torturato in Via Tasso, fu trucidato alle fosse ardeatine”.

Un'altra targa, nel quartiere San Lorenzo, a memoria è stata posta sul portone del palazzo in cui viveva.
Stame, sergente motorista dell'Aeronautica, di professione era uno stimato cantante lirico. Già, durante il servizio militare, era considerato “sovversivo pericoloso, da tenere sempre sotto osservazione”. Dopo l'arresto del 1939, rimase in carcere per quattro mesi; mandato a casa come “sorvegliato”, sapeva di non poter più cantare come professionista. Per sopravvivere fu costretto a intonare arie liriche e canzoni negli ospedali, tra i ricoverati.
Alla caduta del fascismo, e dopo gli avvenimenti a Roma del'8/10 settembre 1943, comprese che doveva agire e scese in strada per impegnarsi con le “squadre d'azione”.

Conosciuto come il “tenore del popolo”, fu sorpreso con altri partigiani in una latteria di Via Sant'Andrea delle Fratte al centro di Roma. Cercò di dileguarsi ma fu raggiunto e bloccato, dopo una violenta colluttazione, in Piazza Mignanelli. Era la mattina del 24 gennaio 1944. Fu condotto prima a Via Tasso, poi a Regina Coeli. Un detenuto nel suo diario ha scritto: “Meditavo all'imbrunire…quando un tenore dalla tipica voce dei cantanti romani mi ha distratto e attirato: aperte le finestre, tutto il carcere si è messo ad ascoltarlo, e pareva di vedere il pubblico aggrappato alle grate. Calda e sonora, la voce si perdeva pei bracci e pei cortili, e alla fine di ogni canzone il pubblico invisibile applaudiva, chiedendo bis e domandava arie in voga”.
Il 24 marzo 1944, davanti al carcere, da una increspatura del telone di un camion tedesco, la figlia Rosetta credette di riconoscere il padre e lo chiamò. Questo il suo ricordo: “Io sono convinta che papà ha riconosciuto la mia voce e che non ha potuto rispondere perché ai lati c'erano i tedeschi seduti sulla sponda, però lui ha fatto un cenno con la testa…”.