Gli albanesi musulmani che salvarono gli ebrei
Un simbolo di solidarietà fra religioni e culture diverse, in nome dei valori comuni e dell'umanità.
Martedì 24 novembre, a Bologna, è stata inaugurata all'Assemblea legislativa regionale dell'Emilia Romagna, la mostra fotografica "Besa, un codice d'onore” di Norman H. Gershman, dedicata agli albanesi di fede musulmana che salvarono gli ebrei dalla Shoah nell'Albania occupata dai nazisti negli anni '40 del Novecento.
Una mostra realizzata dallo Yad Vashem di Gerusalemme e curata nell'edizione italiana da Istoreco Reggio Emilia che ora, grazie al lavoro del consigliere regionale reggiano Yuri Torri, approda anche alla sede della Regione, dove sarà visitabile sino al 28 dicembre in viale Aldo Moro 50. “Besa” è stata allestita per la prima volta in Italia a Reggio Emilia, dopo di che ha girato in numerose località ed è a disposizione di tutte le realtà e gli enti interessati.
All'inaugurazione della mostra hanno partecipato la presidente dell'Assemblea Legislativa Simonetta Saliera, il consigliere Yuri Torri, il vicepresidente di Istoreco Matthias Durchfeld e i tre rappresentanti delle comunità religiose cattoliche, ebraiche e islamiche bolognesi, i presidenti delle Comunità ebraica e islamica di Bologna Daniele De Paz e Yassin Lafram e monsignor Stefano Ottani in rappresentanza della Curia di Bologna.
Quella raccontata attraverso l'obiettivo del fotografo Norman Gershman, nei pannelli di “Besa. Un codice d'onore. Albanesi e musulmani che salvarono ebrei ai tempi della Shoah”, è una storia poco nota al grande pubblico, ma il cui valore, anche alla luce della difficile situazione internazionale, è di grande importanza. Capitò nell'Albania degli anni '40 del Novecento, quando, nella colonia italiana invasa dai nazisti, arrivarono le brutalità dell'Olocausto. Ma il popolo albanese si rifiutò di consegnare agli occupanti gli elenchi con i nomi delle donne e degli uomini di religione ebraica. Lo fecero in nome del “Besa”, il codice d'onore, e cioè la parola data, la promessa fatta nel 1941 agli ebrei albanesi, circa 200, e a quelli che in Albania avevano trovato rifugio scappando dall'Europa vittima della follia nazista, di non tradirli mai, di non consegnarli mai agli aguzzini nazisti.
"La mostra racconta un pezzo di storia vera, molto concreta, che ben rappresenta quello che dovrebbe essere l'approccio con il quale affrontare il rispetto e la conoscenza tra le diverse culture- ha osservato De Paz, presidente della comunità ebraica di Bologna-. L'aupicio è che possa essere vista da tante persone proprio per il messaggio che porta. Bisogna conoscersi e studiare insieme i principi e i valori e la cultura delle tre religioni monoteistiche, e non solo, per costruire quei tasselli con i quali ciascuno di noi può dare un contributo di pace alle nostre comunità".
"Questa esposizione cade in un momento delicato per tutti - ha ricordato Jassim Lafram, presidente della comunità islamica di Bologna- i portatori del male non perdono una giornata per terrorizzarci ma noi che ci riteniamo persone per bene dobbiamo fare il nostro meglio. Abbiamo bisogno di ritrovare la nostra umanità e di ritrovarci tutti assieme- ha esortato- perché la nascita di questi fenomeni non è riconducibile a una fede o a un'etnia. Chi pensa che la comunità islamica sia collusa fa il gioco dei terroristi, non dobbiamo cadere in questo tranello", ha sottolineato, ricordando poi che "quelli che vanno a combattere l'Isis petto contro petto in Paesi come la Siria sono soprattutto mussulmani. L'Isis è un cancro che va estirpato, è una malattia che colpisce tutto il mondo. Bisogna trovare valori universali- ha concluso Lafram-, riavvicinare i popoli e non demordere, continuando la strada del dialogo e della convivenza. Questo è il momento in cui rimandere tutti uniti contro il terrore, il momento della solidarietà".
L'ospitalità del codice di Besa "ha radici profonde nel nostro padre comune Abramo ed è capace ancora oggi di dare frutti straordinari", ha affermato monsignor Stefano Ottani, che ha ricordato in proposito una sua personale esperienza nei villaggi dell'Albania negli anni '90 dove, "straniero e cristiano, mi capitò di essere accolto con la lavanda dei piedi. Ciascuno è chiamato ad un impegno personale e non delegabile. Questo è l'esempio che cerchiamo di portare avanti".
Simonetta Saliera, presidente dell'Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna, ha sottolineato l'attualità del messaggio di pace contenuto nella mostra: "è un invito al dialogo, alla conoscenza e al rispetto. I protagonisti di questa vicenda agirono nel nome di un codice d'onore onore che è una promessa, convinti che salvare le persone apra le porte del paradiso. Cosa ben diversa da chi in nome di una fede religiosa oggi semina il terrore, così come in passato si è fatto nel nome della razza. Offrire momenti di riflessione e di incontro, di formazione per insegnanti e ragazzi- ha ricordato Saliera- è uno dei principali obiettivi di promozione della cittadinanza attiva da parte dell'Assemblea dei diritti, affinché possa crescere un'idea di pace e di rispetto dei valori e delle leggi".