Riforma del Senato: la speranza della ragione
Ho ricevuto un documento del Comitato per il “NO”, sottoscritto dal Presidente dello stesso, prof. Alessandro Pace e, naturalmente, l'ho letto con estrema attenzione.
Non c'era da dubitare per l'autorevolezza dell'estensore e per la forza degli argomenti, che grandissima parte di quel documento sarebbe stata in consonanza con quanto andiamo sostenendo da almeno due anni e ribadito di recente anche con un documento che sarà diffuso in occasione della “Giornata del tesseramento”.
Il documento contiene tutto ciò che noi pensiamo di questa riforma, che incide sulla sovranità popolare, riduce la rappresentanza, contraddice le ragioni di fondo del sistema bicamerale ideato dal legislatore costituente.
Un sistema che poteva e potrebbe essere agevolmente corretto, eliminando alcuni difetti del cosiddetto bicameralismo perfetto. E invece, lo si è voluto trasformare in qualcosa di ibrido che non corrisponde né alla volontà dei Costituenti né allo spirito della Carta Costituzionale. Inoltre, bisogna dire anche questo con chiarezza, non potrebbe funzionare mai, se passasse al definitivo vaglio del Parlamento, per ragioni anche di fatto (un Senato composto da persone che fanno dell'altro, non è cosa seria, né concretamente praticabile, per dirne una).
Il progetto in corso di esame alla Camera rappresenta il trionfo dell'esecutivo sul sistema parlamentare e come tale non può essere accettato.
Siamo ancora in tempo, se si vuole, perché c'è ancora l'esame della Camera, che si sta svolgendo non con eccessivo interesse (alla prima seduta sul tema erano presenti sette deputati, come riferisce la stampa); poi ci sarà il voto conclusivo del Senato e quello della Camera, per i quali è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti.
Giusto, dunque, richiamarsi al senso di responsabilità dei parlamentari perché riflettano bene su quello che fanno e si rendano conto che si sta stravolgendo l'impianto costituzionale, con seria e profonda incisione sugli spazi di democrazia.
Siamo dunque d'accordo sui contenuti, tranne l'osservazione che farò tra breve.
Non abbiamo aderito al Comitato, e l'abbiamo spiegato chiaramente, perché l'iter parlamentare non è ancora concluso e nutriamo sempre la speranza che anche in Parlamento prevalga la ragione. Ma ciò non ci impedisce di concordare sulla grandissima parte delle argomentazioni del prof. Pace, serie e incisive come sempre; tranne l'ultima, l'appello ai parlamentari ad impegnarsi fin d'ora a chiedere la sottoposizione del testo a referendum popolare.
A me sembra contradditorio chiedere di cambiare tipo di voto e poi parlare di referendum (al quale, in ogni caso, provvederanno, semmai, i cittadini). Dai parlamentari ci aspettiamo molto di più: che tengano fede all'impegno che hanno contratto con gli elettori ed a quello che deriva dall'art. 54 della Costituzione: trattare con rispetto le leggi, ma prima di tutto la Costituzione; che si può modificare, ma non sovvertire.
Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi