Smuraglia: riflessioni sull'immunità
Leggo che sarebbe stato raggiunto l’accordo “conclusivo” sulla riforma del Senato. Un accordo a tre, Renzi, Berlusconi e Calderoli. Non faccio commenti, perché su simili intese mi sono già intrattenuto altre volte e non vorrei insistere sul confronto tra due dei partecipanti a questa intesa ed i componenti dell’Assemblea Costituente del ’47 (se non ricordo male, Calderoli è anche l’autore di quella bellissima legge che fu poi comunemente definita come “porcellum”).
Nel merito: si conferma l’immagine di un solenne pasticcio, in cui è difficile ravvisare quel ruolo di “Camera Alta” che in tanti Paesi è rappresentato dal Senato. Esclusa, ancora una volta, l’elezione diretta, si ricorre ad un sistema misto, che ha tutti i difetti delle precedenti versioni, sia per gli eligendi, sia per i contenuti, nonostante qualche positiva correzione, di cui prendo atto ma che non modifica il quadro generale e tanto meno è suscettibile di incidere sulla posizione fortemente critica dell’ANPI.
Voglio solo sottolineare un paio di cose di un certo rilievo, sostanziale e simbolico.
La prima riguarda l’esplosione della questione dell’immunità, che ora sarebbe estesa anche ai nuovi componenti del “Senato”. Non capisco che cosa ci si aspettasse, perché le contraddizioni e i pasticci finiscono sempre per venire alla luce. Nella versione originaria del progetto governativo, l’immunità non c’era, e si capisce perché: il progetto era in sostanza quello di un Senato svirilizzato e ridotto ad un organo di serie C; sarebbe stato assurdo, ad un simile organo, concedere ai componenti una “garanzia” (qualcuno parla di privilegio).
Adesso, si dice che al progetto ordinario sarebbero apportati miglioramenti notevoli, tali da avvicinare il nuovo organismo ad un ruolo effettivo. Se così fosse davvero, sarebbe logico concedere anche ai suoi componenti l’immunità per le stesse ragioni per cui ne godono i membri della Camera. Ma in realtà non è così ed allora sorge il problema su cui tanti si stanno affannando in questi giorni. Insomma bisogna decidere: o si riconosce che il Senato è ridotto, anche nell’attuale versione, ad un guscio vuoto ed allora l’immunità non può proprio essere presa in considerazione, oppure si dimostra che finalmente si va verso una Camera Alta vera e allora si deve parlare di immunità per non creare disparità nei confronti della Camera.
In mezzo a questo inutile e singolare dibattito, nessuno sembra pensare ad una ipotesi ragionevole, quella di verificare, per la Camera e per il Senato, se e in quali casi l’originaria (e giusta) garanzia si sia trasformata, nel tempo, in un privilegio, come più volte ha sentenziato la Corte Costituzionale a proposito della cosiddetta “insindacabilità”. Una riflessione seria dovrebbe indurre un vero legislatore costituzionale a pensare a qualche “ritocco”. Per esempio, limitare la garanzia dell’art. 68 della Costituzione solo a ciò che si dice o si vota in Parlamento; e ancora, come pure è stato proposto da più parti, attribuire l’esame delle autorizzazioni per l’arresto e le intercettazioni ad un organismo esterno (ad esempio, la Corte Costituzionale).
Sono due piccole misure a cui accenno solo per esemplificare. Resta il fatto che una riflessione, questo tema la meriterebbe, perché è giusto che i parlamentari siano garantiti, ma non che abbiano dei privilegi, che si trasformano in una violazione del principio di uguaglianza nei confronti del cittadino. Purtroppo bisogna constatare che queste tematiche non sembrano interessare granché, preferendosi dissertare e discutere sul nulla.
Devo anche dire che l’accordo contiene un’altra perla, a sorpresa e tutt’altro che positiva: l’elevazione a trecentomila del numero delle firme richieste per l’iniziativa legislativa popolare (oggi ne bastano cinquantamila). Le ragioni di questo improvviso aumento mi sfuggono, perché non mi pare che il Parlamento sia stato oppresso o impedito di funzionare da un eccesso di iniziative popolari. Certamente esso rivela un intento né benevolo né favorevole nei confronti della partecipazione effettiva dei cittadini.
Istituto, oggi piuttosto privo di effetti reali, in quanto affidato nella sua attuazione ai regolamenti parlamentari, per la verità abbastanza parchi di indicazioni imperative. Si auspicava la fissazione di termini precisi per la presa in considerazione e per la decisione in Aula e in seduta pubblica (di esame effettivo o di archiviazione) in modo che i promotori avessero un minimo di chance, non dico di successo, ma almeno di una reale presa in considerazione in tempi definiti. Invece, anche questa attesa andrebbe delusa, secondo l’intesa, restando fermo però l’aumento delle firme, cioè creando un ulteriore ostacolo all’esercizio di una forma diretta di partecipazione popolare, che, di questi tempi, andrebbe fortemente rinforzata. Non mi sembrano necessari ulteriori commenti, perché ognuno potrà valutare da sé il significato di tutto questo.
Carlo Smuraglia