Il museo della resistenza tedesca
Esiste, a Berlino, un museo della resistenza tedesca, un luogo che permette di scoprire aspetti della Germania sotto il nazismo che molti ignorano.
Al contrario, gioverebbe alla nostra cultura ricordare quanto l'antifascismo e la resistenza siano stati un fenomeno europeo, diffusosi dai paesi culla dei regimi ai paesi occupati durante la guerra. Un internazionalismo già evidente nella Spagna del '36.
Da italiani siamo abituati a pensare alla Resistenza come lotta armata e, nonostante la storiografia dagli anni '70 del Novecento abbia indagato la componente civile, l'immagine di quegli anni resta un ragazzo barbuto con lo sten a tracolla, che fosse in Piemonte o in Toscana.
Proprio per questo motivo non associamo il popolo tedesco al termine resistenza. Sbagliando, come dimostra il memoriale berlinese con l'attiguo museo, ospitati nel complesso edilizio Bendlerblock.
Il Bendlerblock è stato edificato tra il 1911 e il 1914 per il Ministero della Marina del Reich. Dopo la prima guerra mondiale vi venne trasferita anche la direzione delle forze armate tedesche e, sotto il nazismo, parti del Ministero della difesa e degli esteri. Qui aveva sede l'Alto Comando dell'esercito tedesco, la Wermacht, il cui comandante - generale Friedrich Olbricht - escogitò un colpo di stato contro Hitler, la nota 'Operazione Valchiria'. Il memoriale sorge nel cortile interno, dove furono fucilati i cospiratori, e fu inaugurato il 20 luglio 1952, anniversario del fallito attentato. E questo è decisamente interessante.
In Germania infatti non si sviluppò una resistenza organizzata e diversi degli oppositori ricordati oggi sono autori di attentati a Hitler e ai vertici delle SS, dettaglio che pone importanti spunti di analisi, facendo della narrazione storica non tanto un racconto epico quanto tormentato, di confini sottili fra bene e male. Un approccio lontano da quello italiano, dove gli attentatori di Mussolini sono poco più che nomi, e fatti come 'via Rasella' ancora oggetto di polemiche.
Questo museo è incentrato sulle singole persone che resistettero – culturalmente, militarmente, civilmente -, sulle loro biografie, perché in Germania ogni resistente è conosciuto nome per nome essendo stata l'opposizione un fenomeno minoritario, oltre che frammentato. Qui incontriamo i membri dell'Orchestra Rossa, della Rosa Bianca, singoli oppositori come George Elser e Otto Wiedt, o le donne 'ariane' di Rosenstrasse.
Del Bendlerblock abbiamo parlato con lo storico Ugo Maria Fazio, addetto alle attività pedagogiche del museo.
Prima domanda: cosa si intende in Germania per resistenza?
«I comportamenti resistenziali dall'interno della dittatura sono assai diversi da quelli che si sviluppano, per esempio, in seguito ad un'occupazione militare da parte di un paese straniero e contro i suoi collaboratori o alleati. In Germania dal 1933 al 1945 si registrano gesti che vanno dall'attentato al soccorso ai perseguitati».
C'è una categoria sociale o anagrafica identificabile con l'opposizione al regime?
«No. Il fenomeno della resistenza tedesca, pur costituito da una minoranza assoluta, è rappresentativo della società di allora tutta intera, non essendo la resistenza nè legata all'età, nè alla professione e tantomeno al ceto sociale».
Quando è nato il museo, che sappiamo successivo al monumento?
«Il memoriale per la resistenza militare venne inaugurato nel luglio 1968 ed era piccolo, dedicato quasi esclusivamente al colpo di stato del 20 luglio 1944; la mostra documentaria della resistenza in tutte le sue forme venne inaugurata solo nel luglio 1989, immediatamente prima della caduta del muro, nel novembre stesso anno».
Perché è stato collocato all’interno del Ministero della difesa tedesca?
«Non è esatto. È il ministero ad essere stato collocato all'interno del memoriale! Un bel pezzo di storia della Repubblica federale, ma qui il discorso si fa lungo…»
A livello didattico qual è l’approccio, l’impostazione del percorso nel raccontare una lotta non nel senso italiano ma, ad esempio, singoli attentati? Come veicolare messaggi tanto delicati a studenti?
«Il problema è sempre lo stesso: definire i limiti dell'obbedienza».
Che attenzione c’è in Germania per queste storie e biografie? L’impressione è di costante attenzione e riflessione ai crimini ma di poca esaltazione dell’opposizione al nazismo.
«Il tema della resistenza è delicato e non ce n'è un'altro che sia stato adulterato di più e per anni da filtri ideologici - anche dopo la caduta del muro -. Ho l'impressione inoltre che sia sempre il crimine a fare notizia e a suscitare interesse; non altrettanto la storia, per esempio di un fabbricante di spazzole che salvò ebrei dalla deportazione (Otto Weidt - ndr) o di un falegname che voleva uccidere Hitler (George Helser). Parlare di resistenza tedesca appare a molti ancor oggi un tentativo sottile per ridurre le responsabilità e in qualche modo riabilitare così il popolo tedesco».
Eppure, un paese distrutto, colpevole, su quei pochi mattoni si è ricostruito e di fronte al tentativo di autoassoluzione di tanti nazisti al processo di Norimberga - sintetizzato dal classico 'Ho obbedito agli ordini' - ecco che l'"altra" Germania ha potuto dimostrare come fosse possibile invece uscire da tale logica, e come ubbidire ad un ordine sbagliato non sia obbligatorio. Ogni soldato, come ogni cittadino, non dovrebbe obbedire ciecamente.
Qui troviamo il senso - e il messaggio - di un ministero della difesa collocato in un luogo di memoria, un luogo per di più dedicato agli uomini dell'Operazione Valchiria.
Un memoriale in ricordo di militari che rifiutarono la gerarchia in nome di valori più alti dice ai visitatori che non c'è nulla al di sopra della propria coscienza, e che ognuno è responsabile di quanto fa o non fa.
Gemma Bigi