La memoria in affitto
Pagare un canone per avere un luogo di memoria, un fazzoletto di terra dove ricordare che lì, in quel punto, la storia è passata con prepotenza.
Pagare un affitto per un monumento, come se la memoria non fosse una responsabilità anche collettiva.
È quello che avviene a Gonars, in provincia di Udine, per il terreno dove sorgeva il campo di concentramento fascista.
Quel terreno, oggi come ieri, appartiene alle Ferrovie dello Stato, che nel 2008 lo hanno concesso all'amministrazione comunale dietro pagamento di un canone annuale. Una scelta importante quella della giunta perché, per quanto poco noto a livello nazionale, il campo di concentramento di Gonars ha segnato profondamente gli abitanti dell'allora Provincia italiana di Lubiana.
È tuttavia un presidio precario e il monumento, costruito a qualche centinaio di metri dal sacrario memoriale con i resti degli internati, è discreto, di fatto 'esportabile'. Può sempre venire il momento del trasloco quando si è in affitto.
A vederlo quel terreno si presenta come tanti altri, senza baracche né segni di carcerazione, poiché nei mesi successivi all'8 settembre '43 gli abitanti del paese smantellarono la struttura riutilizzando i materiali per altre costruzioni, come l'asilo infantile. È un semplice pezzo di verde, ma a saperlo sollecitare racconta una storia che riguarda tutti.
Emanuele Baggio, assessore alla cultura, ambiente, sport, associazionismo, istruzione e famiglia, attività artigianali, industriali e cooperative a Gonars, eletto nella lista Udc, talvolta accoglie delegazioni e comitive raccontando del campo e con lui abbiamo parlato del passato per poi approfondire la questione dell'affitto.
Il campo di concentramento fascista venne innalzato nel 1941 in previsione dell'arrivo di prigionieri dal fronte russo, ma di russi non ne vennero mai.
La Provincia italiana di Lubiana venne annessa all'Italia il 6 aprile 1941, dopo la spartizione con la Germania e l'Ungheria del Regno di Jugoslavia. La reazione della popolazione fu immediata: nel giro di pochi giorni vennero organizzati gruppi armati di ribelli contro l'invasore.
Le autorità fasciste della zona, civili e militari, tentarono di piegare la resistenza incendiando villaggi, fucilando, deportando intere popolazioni.
I prigionieri delle rappresaglie furono concentrati a Gonars. Erano civili, soprattutto studenti, docenti, intellettuali, artisti, artigiani e operai. Ovvero tutti i potenziali oppositori al regime.
Nell'estate del 1942 il campo conteneva oltre 6.000 internati, a fronte di una struttura progettata per meno di 3.000 persone. Il sovraffollamento favorì la diffusione di epidemie dovute alla scarsa igiene e alla pessima alimentazione e iniziarono a registrarsi le prime vittime. Ma quello era proprio l'obiettivo, come sintetizzò il generale Gastone Gambara commentando il campo fascista di Arbe (o Rab): “Il campo di concentramento non è campo d'ingrassamento: individuo malato uguale a individuo che sta tranquillo”.
Nel primo periodo di attività del campo erano detenuti, sotto falso nome, gli esponenti del Fronte di liberazione sloveno, futuri capi della resistenza jugoslava, alcuni dei quali riuscirono a evadere nell'agosto del '42. Dopo la fuga si preferì smistare gli internati in altri campi italiani, ma quello di Gonars non venne smantellato, cambiarono solo le tipologie di prigionieri: donne, bambini e anziani, tutti provenienti da Arbe dove erano stati detenuti in condizioni al limite del tollerabile.
Il campo rimase così attivo fino alla capitolazione dell'esercito italiano. Qui, in poco meno di un anno – riporta la guida - nonostante “l'impegno umano di alcuni degli ufficiali e soldati del contingente di guardia, quale il medico Mario Cordaro, morirono, di fame e malattie, oltre 500 persone”. Almeno settanta erano neonati “nati e morti in campo di concentramento”.
Un luogo che ha segnato profondamente la vita delle persone che vi hanno transitato, delle famiglie di chi vi ha trovato la morte. Un luogo che non poteva rimanere un nome sui libri senza uno spazio pubblico di ricordo e commemorazione. Si è giunti così all'affitto.
Spiega l'assessore Baggio:“Il contratto con le Ferrovie dello Stato riguardava la locazione di un area di 16.530 mq circa, locata nello stato di fatto in cui si trovava, cioè in forte degrado con vegetazione che ricopriva quasi completamente i manufatti. Va detto che i manufatti esistenti non riguardavano il campo ma costituivano le strutture di quella che doveva essere una nuova linea ferroviaria, che non venne mai costruita, da questo la spiegazione sul perché l'area sia di proprietà delle ferrovie”.
L'amministrazione ha dunque stipulato un accordo per poter riqualificare l'area facendone un luogo di memoria. Di fatto il contratto, che scadrà il 30 giugno 2014, è rinnovabile per altri sei anni ma il canone di 2.340 euro rappresenta sicuramente un impegno importante per un comune di cinquemila anime, oltre che una situazione paradossale. Nonostante questo negli anni l'impegno dell'amministrazione non è mancato. “Il monumento – ci racconta Baggio - venne realizzato nell'autunno del 2009. Venne progettato e realizzato interamente da giovani e grazie ad un contributo regionale (di 10.000 euro). Per il futuro sarebbe auspicabile che la Regione e le istituzioni si facessero carico dell'acquisizione dell'area. Sarebbe opportuno inoltre prevedere un parcheggio e illuminare il percorso, purtroppo interventi costosi e non attuabili dal solo comune di Gonars”.
Un paese che nonostante tutto studia e promuove il proprio passato, valorizza le opere dei tanti artisti internati che hanno raccontato in immagini la prigionia. Un comune non indifferente: “I cittadini di Gonars - prosegue l'assessore - si sono sempre adoperati per il mantenimento della memoria, furono i primi a dare giusta collocazione alle salme degli internati e dal dopoguerra vengono sempre ricordate le vittime durante le celebrazioni del primo novembre; inoltre molti cittadini aiutarono gli internati ospitandoli e mettendo a disposizione i mezzi per riportarli ai loro paesi di origine. Ancora oggi vi sono famiglie che mantengono i contatti con le famiglie degli internati”.
“Il campo – aggiunge - fa parte della memoria dei gonaresi. Nelle scuole è tradizione parlare e studiare di ciò che avvenne nel nostro territorio durante la guerra. Purtroppo la storia dei confini Italiani è ancora poco conosciuta, a mio parere si è voluto tacere troppo a lungo sui crimini avvenuti dall'una e dall'altra parte”.
“Devo dire - conclude l'assessore - che solo ora, finalmente, le nuove generazioni riescono a fare un'analisi serena di ciò che avvenne all'epoca, in quanto coloro che erano stati coinvolti direttamente risentivano emotivamente della situazione che avevano passato. Negli ultimi anni inoltre si è placato l'astio tra sloveni e croati, molto sentito nel dopoguerra e molto vivo allora all'interno del campo, ed è stato bello poter vedere lo scorso anno due scolaresche, una slovena ed una croata, visitare assieme i monumenti di Gonars”.
Oggi questo piccolo paese è un luogo di memoria che si fa spazio di incontro e confronto, momento per non dimenticare quanto per guardare avanti e migliorare.
Il punto è che un impegno di questa portata, una tale responsabilità non può essere delegata totalmente a un singolo comune, alla sensibilità e professionalità di assessori e operatori culturali, quando un cambio di giunta o motivi economici possono far perdere pezzi fondamentali della nostra storia.
La memoria è una responsabilità di tutti a tutti i livelli. Che qui prende forma di appello: la Regione non può fare qualcosa?
Gemma Bigi
Si ringraziano:
Emanuele Baggio per la disponibilità;
Massimo Storchi per la gentile concessione della fotografia del monumento;
Istoreco e la dott.ssa Alessandra Kersevan, per la visita guidata al Sacrario memoriale e al Campo di Gonars.