Perché la fabbrica chiude la porta alla Costituzione?
Qui di seguito un commento di Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell'Anpi, sul caso Fiat.
Fiat: ancora una volta la Costituzione sembra restare fuori, non tanto e solo dalle fabbriche, ma anche dagli uffici degli imprenditori – manager – finanzieri delle aziende di maggiore importanza. La notizia della settimana è che il grande “progetto” (Fabbrica Italia) di Marchionne, lanciato appena due anni fa, sarebbe messo in discussione, se non addirittura relegato a livello di una ipotesi molto vaga.
Ovviamente, questa non è una sorpresa per quanti (fra cui noi) avevano già pensato nel 2010, che si trattasse di quella che viene comunemente definita una “bufala”. La verità è che già da allora non si sono visti investimenti, non si sono viste macchine veramente competitive sul mercato; insomma, risolti (negativamente) i casi Pomigliano e Torino, tutto pareva definito, per Marchionne, che sembra guardare sempre di più oltre l’Atlantico.
È lecito tutto questo? O quanto meno, è ammissibile? Una corretta lettura dell’art. 41 della Costituzione (quello che infatti, alcuni
vorrebbero abolire, per avere ancora più mano libera), imporrebbe di rispondere di no. Dove va a finire l’utilità sociale di cui parla – appunto – l’art. 41 e a che cosa si riducono i limiti previsti dal legislatore costituente per l’iniziativa economica privata (obbligo di rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana)?
Ma tant’è: ancora una volta la Costituzione sembra restare fuori, non tanto e solo dalle fabbriche, ma anche dagli uffici degli imprenditori – manager – finanzieri delle aziende di maggiore importanza. E questo è davvero grave, perché la situazione è quella che conosciamo e l’ipotesi del crollo di un segmento importante dell’attività produttiva, come la FIAT, è semplicemente spaventosa.
Dalla vicenda emergono, comunque, alcuni grandi insegnamenti:
- Il primo è diretto a coloro che credono (ed hanno creduto) alle roboanti parole ed ai solenni impegni di chi pensa, invece, soltanto agli affari suoi;
- Il secondo, a quelle organizzazioni sindacali che hanno ritenuto che cedere al ricatto rappresentasse comunque qualche vantaggio immediato, almeno per l’occupazione; quel “vantaggio”, realizzato peraltro a carissimo prezzo (divisioni sindacali, rinuncia a princìpi
fondamentali del nostro diritto del lavoro) sta rischiando di venire meno; insomma si sarebbe venduta l’anima per ben poco, a tutto vantaggio solo del diavolo;
- Il terzo è diretto al Governo, stranamente esitante anche solo a pronunciarsi e ad intervenire con energia; mancanza di coraggio di fronte ad una società che in Italia ha sempre avuto più ancora che rispetto, benefici e vantaggi? Oppure, una strana timidezza, per
cui ci si può pronunciare per l’Alcoa, ma non per la Fiat?
Certo, la questione è di grande portata e meriterebbe che quegli insegnamenti fossero prontamente raccolti; che finalmente qualcuno si ricordasse dell’art. 41 della Costituzione e lo facesse valere; che il Governo intervenisse davvero con forza; che le divisioni sindacali
cessassero (sempre meglio un po’ di resipiscenza che il perseverare nell’errore); che i partiti – dimentichi per un attimo delle solite diatribe – prendessero posizione e producessero atti e comportamenti anche in Parlamento.
Se così non fosse, vorrebbe dire che si preferisce aspettare quell’autunno caldo (esplosivo) di cui ho parlato nella news precedente, e che di fronte al disastro si preferisce nascondere il capo sotto l’ala, come lo struzzo. Noi non ci rassegniamo e continueremo ad insistere perché ognuno faccia la sua parte; intanto, esprimiamo la nostra solidarietà ai lavoratori della Fiat, giustamente preoccupati del loro futuro. Forse non è un gran sollievo, ma è bene che sappiano che in ogni frangente l’ANPI sarà al loro fianco, a battersi – ancora una volta – per la difesa dei princìpi costituzionali e per la salvaguardia dei diritti e della dignità di chi lavora.