L'Anpi di Reggio Emilia per la liberazione di Rossella Urru
"Anche noi dell’ANPI di Reggio Emilia vogliamo essere vicini a Rossella Urru, rapita nell’ottobre scorso presso il campo profughi Sahrawi di Rabuni e in questi giorni tornata al centro dell’attenzione per la complicata vicenda della sua liberazione".
Inizia così un comunicato dell'Anpi di Reggio Emilia che subito spiega: "Avevamo avuto modo di parlarne nel numero di dicembre 2011 del Notiziario ANPI con un articolo di Claudio Ghiretti, collaboratore del periodico dei partigiani reggiani, in cui scriveva che due anni fa aveva conosciuto Rossella Urru, proprio nel campo profughi di Rabuni, per un progetto di cooperazione internazionale che, nelle settimane precedenti il rapimento, era giunto a con successo a conclusione".
“La Mezza Luna Rossa Sahrawi (la nostra Croce Rossa) – scriveva Ghiretti – aveva manifestato al movimento cooperativo e alla Regione Emilia Romagna l’esigenza di poter nutrire la popolazione Sahrawi, a sud di Tinduff, con alimenti freschi, in particolare con verdure e frutta. Ciò avrebbe posto fine alle gravi carenze nutrizionali che colpiscono soprattutto i bambini. Le condizioni estreme dei luoghi e la carenza nelle infrastrutture viarie e di trasporto non consentivano di superare agevolmente il problema. Fu chiesto a me, come esperto di logistica, di pensare una soluzione che potesse funzionare. Io, insieme ad un mio collaboratore, trovammo la soluzione e predisponemmo un progetto che piacque alle autorità Sahrawi e attraverso Legacoop Emilia Romagna e il CISP, l’ONG per cui lavora Rossella, riuscii a raccogliere i fondi da alcune importanti cooperative e dalla Regione Emilia Romagna, per realizzarlo. Fu questo fatto che mi portò a Rabuni. Lì c’era Rossella Urru ad aspettarci e grazie al suo aiuto e alla profonda conoscenza, non soltanto dei luoghi, ma anche delle persone, riuscimmo ad ottenere quella collaborazione, da parte di tutti i soggetti interessati, che ha portato al pieno successo dell’operazione. Rimasi fortemente impressionato da Rossella, non soltanto per la padronanza di numerose lingue, ma soprattutto per le decine e decine di famiglie che conosceva personalmente in ogni villaggio, con ognuna delle quali, sembrava avere vissuto esperienze significative e condiviso piccoli e grandi problemi della vita quotidiana. Nei giorni in cui abbiamo condiviso i locali del cosiddetto “Protocollo” di Rabuni, ci sembrava di essere immersi in un ambiente di stringente problematicità, per la durezza concreta della vita, ma non abbiamo mai percepito un’atmosfera che fosse meno che serena e piena di speranza in un futuro migliore”.