Pace, nostra parola d'ordine
ll mondo è attraversato da violenze e da guerre. Non siamo mai stati così vicino alla guerra come ora, almeno da molti anni. Adesso è alle porte, in Europa; ma vi sono mille focolai in Africa, in Medio oriente, nel mondo.
Anche questo ci lascia, non dico indifferenti ma poco inclini alla riflessione e al ricordo. Abbiamo avuto due guerre mondiali in un solo secolo; ed ancora contiamo le vittime, soprattutto della prima; ma anche della seconda. Dei bombardamenti, delle vittime, militari o civili, dovremmo ricordarci di più, ed essere non solo contrari alla guerra, ma anche fervidi custodi e sostenitori, comunque, della pace.
Un Paese che, per Costituzione, “ripudia la guerra” dovrebbe essere più allertato e più preoccupato di quanto lo siamo tutti, quando leggiamo notizie di pericoli assai vicini e minacce, non importa se vicine o lontane (ormai il mondo è piccolo) per la pace. È per questo che ho posto la domanda, al recente Comitato nazionale, se non dovremmo inserire, a questo punto, tra le nostre priorità, la pace. Certo, l’abbiamo sempre sostenuta e coltivata, abbiamo partecipato a tante marce; ma non l’abbiamo sufficientemente posta al centro della nostra iniziativa, pur essendo consapevoli che la pace è tutto, perché solo in essa possono fiorire il lavoro, la cultura, le aspirazioni, le speranze delle persone. Sono stato felice nel vedere che tutto il Comitato nazionale era d’accordo, su una “svolta “ del genere e che in questo modo diventava facile e doveroso dichiarare “guerra” (questa volta simbolicamente e paradossalmente) ai peggiori nemici, come i nazionalismi, i fondamentalismi, la sete di potere, la prepotenza e l’arroganza.
D’ora in poi, fra le nostre parole d’ordine (antifascismo, democrazia, Costituzione, diritti) dovremmo inserire, a pari merito, la questione della pace.
Qualcuno si è chiesto come sarà possibile, se su vari aspetti, su singole questioni, sui pericoli e sulle singole cause, ci sono differenze di valutazione, sulle responsabilità e perfino sulle strategie. Io penso che sia possibile e necessario superare queste diversità di concezione, mantenendo ognuno la propria autonomia di pensiero ma ritrovandoci tutti su una questione di fondo: la guerra è – di per sé – il contrario dei diritti umani, perché ogni guerra, necessariamente, li calpesta, li mette in discussione e non di rado li annulla.
Ma i diritti umani sono il fondamento della nostra esistenza e della nostra convivenza. E dunque, ogni fatto che li minaccia, è un pericolo per noi stessi, per tutti. Non a caso, nel documento politico approvato dal Congresso 2011, c’è un capitolo intero dedicato significativamente ad “un più forte impegno per i diritti umani universali “.
Io credo che il diritto alla pace sia forse il più “umano ed universale” dei diritti e come tale debba essere trattato e considerato. Se tre anni fa abbiamo potuto collocare in quel capitolo anche l’impegno per la pace, questo era già importante e significativo, ma in un contesto in cui la guerra era lontana.
Ed era giusto, dunque, che fosse uno dei diversi impegni che ci assumevamo, pensando – tuttavia – ad altre priorità. Oggi non è più così, per i pericoli che ho detto, per le guerre in atto e per quelle “possibili”, ed allora bisogna fare un salto di qualità e tra i nostri valori, nei primi posti, collocare davvero la pace (e tutti i diritti umani), ispirando a questo obiettivo una parte saliente della nostra azione.
Carlo Smuraglia, presidente nazionale Anpi