Salta al contenuto principale

Pagliarulo: "Non ci rassegniamo alle scelte dell'UE e del governo italiano, chiediamo politica e il ripudio della guerra"

Oggi, un anno fa. Un anno fa è iniziata l’avventura sanguinosa dell’invasione che ha portato, porta e porterà immani distruzioni e lutti spaventosi e che fa seguito ad un conflitto iniziato nel 2014. Ancora un invio di armi, in un’Europa percorsa dagli Urali all’Atlantico da un bellicismo che ricorda l’avvio di entrambe le guerre mondiali. Dalle armi leggere si passa alle armi pesanti, e da queste ai carri armati, e ancora chiedono aerei da combattimento e missili. C’è sempre più voglia di menare le mani. Il Segretario generale della Nato, ha invitato tutti i Paesi membri a superare il 2% del Pil nelle spese militari. Il che vuol dire ovviamente meno soldi per la sanità e la scuola e una grande festa per l’industria bellica. E dietro questa corsa verso l’abisso si parla sempre più spesso del possibile uso di armi nucleari. Pazzi!
Ci avevano detto che l’invio di armi avrebbe accelerato la fine della guerra. Invece, com’era ovvio, è successo il contrario.
Si deve fermare questa escalation di morte e distruzione! Qualcuno dice che non c’è pace senza giustizia, senza libertà, senza democrazia. È vero. Ma è ancora più vero che non c’è giustizia, non c’è libertà, non c’è democrazia senza pace. Va trovato perciò un equilibrio, e si può trovare soltanto se si usa l’arma della politica. Nel romanzo di George Orwell 1984 c’è un Ministero della Verità che dispensa slogan politici. Uno di questi è: la pace è guerra. No grazie. La pace è pace. La guerra è guerra. Nei giorni scorsi abbiamo letto sui giornali le parole di Putin a Mosca e di Biden prima a Varsavia poi a Kiev. Entrambi affermano che la guerra andrà avanti fino alla vittoria, entrambi esaltano il mito della sconfitta del nemico e intanto, più tempo passa, più ucraini muoiono. Pazzi! 
Vedete, un conflitto può terminare in due modi: o con la vittoria di una delle due parti, o con un negoziato realistico che faccia cessare le ostilità. Questa guerra non finirà mai con la vittoria di una delle due parti, perché ad ogni accrescimento della potenza militare di un contendente corrisponde l’accrescimento della potenza militare dell’altro contendente, e così via fino al buco nero dell’armamento nucleare. Pazzi! 
Ma la cosa più grave è che nessuna voce delle parti in conflitto propone una trattativa, un negoziato. Eppure un grande europeo, Erasmo da Rotterdam, sosteneva che la pace più ingiusta è meno dannosa della guerra più giusta. La parola diplomazia è stata cancellata dal vocabolario della politica. Anzi, è peggio: è stata cancellata proprio la parola politica, sostituita dalla parola guerra. L’unione Europea è scomparsa come soggetto autonomo portatore di moderazione e costruttore di coesistenza pacifica, cioè come soggetto politico. L’Unione Europea si è appiattita sulla NATO, e la NATO è da sempre legata a doppio filo alla politica estera americana. 
L’alto rappresentante europeo degli Affari Esteri Josef Borrel ha affermato: “L’Ucraina vincerà la guerra sul campo di battaglia”. Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha affermato: “Dobbiamo porre fine al dominio degli Stati Uniti sul mondo”. Il Segretario Generale della Nato Stoltenberg ha affermato: “Pechino è una sfida sistematica alla sicurezza nazionale delle democrazie”. Biden e Putin si rinfacciano la responsabilità di aprire un nuovo fronte in Moldavia. Siamo a questo punto.
Da un anno è iniziata l’invasione. Da un anno Papa Francesco invita in ogni modo ad avviare una trattativa. Da un anno i governi europei decidono tutto senza mai consultare i loro popoli. 
Nel buio pesto di questa notte di guerra si è acceso recentemente qualche lumicino: il Presidente del Brasile Iñacio Lula da Silva ha proposto di dar vita a un forte gruppo di Paesi neutrali che comprenda, per esempio, – ha detto – l’Indonesia, l’India, la Cina, che costringa russi e ucraini a un tavolo di negoziato. Non solo: viviamo un tempo molto simile a quello che ha preceduto la Seconda guerra mondiale, quando la vecchia Società delle Nazioni, nata nel 1919 dopo l’orrore della Prima guerra, fu travolta dagli eventi. Non facciamo fare all’ONU la stessa fine della Società delle nazioni. Ecco, oggi le Nazioni Unite, così come nacquero dopo la fine della Seconda guerra mondiale, non funzionano più. C’è bisogno di un nuovo Consiglio di Sicurezza, allargato ad altri Paesi, in rappresentanza di un mondo sempre più multipolare, che restituisca così all’Onu la sua autorevolezza. È quello che ha proposto Lula. 
Nella totale assenza di iniziativa per la pace da parte dell’Unione Europea, noi pensiamo che sia giusto approfondire le proposte del Presidente Lula e sostenerle; per questo il direttore dell’Avvenire, Marco Tarquinio, e io come Presidente nazionale dell’ANPI abbiamo richiesto un incontro all’Ambasciatore del Brasile a Roma e saremo ricevuti da lui fra pochi giorni.
C’è un’altra luce che si accesa. È di oggi sui giornali la proposta di mediazione della Cina. Si parla di pieno e integrale rispetto della sovranità di tutti i Paesi, di tutela della sicurezza di ciascun Paese da perseguire senza mettere in discussione la sicurezza di altri Paesi e senza rafforzare ed espandere i blocchi militari; si parla di razionalità e di moderazione evitando di gettare benzina sul fuoco e arrivando a un cessate il fuoco globale, di dialogo e negoziato come unica soluzione possibile della crisi ucraina, di messa in sicurezza delle centrali nucleari, di bando delle armi nucleari e chimiche, di blocco delle sanzioni, di protezione dei civili e dei prigionieri. Anche questo è un tentativo apprezzabile per uscire dal viaggio senza ritorno della guerra a tutti i costi.
Mentre alcuni Paesi come Brasile e Cina cercano di abbassare la tensione internazionale per evitare che si giunga a un punto di non ritorno, in Italia e in Europa  viviamo un tempo di propaganda di guerra in cui non si vuole dare spazio ad alcun pensiero critico, si nega qualsiasi equilibrio nell’analisi storica e nell’analisi politica. Perché? Perché vogliono farci apparire la guerra come una situazione normale, inevitabile. Vogliono normalizzare la guerra. Per questo chiunque si apponga alla normalizzazione, viene attaccato, ridicolizzato, delegittimato. Domina sempre il Ministero della Verità, di cui un altro slogan era “La verità è menzogna”. Vedete, questa situazione di militarizzazione del dibattito pubblico non è solo italiana; è anche e specialmente russa. Ma proprio questo è il punto: nella militarizzazione del dibattito pubblico c’è di fatto un attacco ai principi democratici e un abbandono silenzioso dell’articolo 21 della Costituzione: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Noi difendiamo la democrazia e la Costituzione.
In ultima analisi aveva ragione un importante economista, John Kenneth Galbraith, che definì la guerra il più grande fallimento umano. Noi non vogliamo essere complici di questo fallimento. 
Da un anno ascoltiamo la voce dei governi. È giunto il momento di far sentire, come abbiamo già fatto il 5 novembre a Roma, la voce dei popoli. In questi giorni, Europe for peace manifesta per la Pace in 100 città italiane e in altrettante città europee per dare rappresentanza a coloro che non hanno voce. Pensiamo a un percorso che si avvii con la trattativa e con un realistico trattato di Pace, poi, con le armi della diplomazia, a una conferenza internazionale che lo renda stabile e permanente, poi alla smilitarizzazione dei confini della Russia e di tutti i Paesi al suo occidente, poi a una progressiva diminuzione degli armamenti nucleari. Sappiamo bene che è difficile, difficilissimo, ma sappiamo che questa è l’unica via non solo per evitare l’esplosione di un conflitto globale, ma anche per evitare lunghi anni di una nuova guerra fredda, di odi etnici, di rottura delle relazioni diplomatiche e degli scambi commerciali. 
Per fortuna il mondo è molto grande: ci sono forze in America Latina, in Asia, in Africa che ci possono aiutare in questa difficilissima sfida. Ma non dimentichiamo l’Europa e il nostro Paese. Non rassegniamoci alle scelte dell’Unione Europea e del governo italiano. Per questo stiamo qua oggi, per chiedere il ritorno della politica, per rivendicare il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali come recita l’articolo 11 della Costituzione, per contrastare chi vuole trasformare l’invasione russa in Ucraina in uno scontro di civiltà, occidente contro oriente.
 Il 1° agosto 1917, quando la Prima guerra mondiale aveva già lasciato sul terreno milioni e milioni di morti, Papa Benedetto XV scrisse una nota alle potenze in guerra in cui definiva il conflitto come l’inutile strage. Oggi torna più forte che nel passato l’autorità morale della Chiesa con le parole di Francesco che ha già definito i protagonisti di questa escalation militare con una sola e definitiva parola, la parola che mi sono permesso di usare già tre volte: pazzi. 
E pazzi, mi permetto di aggiungere, sono i governi che non sentono o fanno finta di non sentire la voce di tanta parte dei loro popoli. È una voce chiara, semplice e razionale, perché i popoli sanno benissimo che la vera vittima di ogni guerra sono proprio loro. 
Sapete che dopo queste mie parole ci sarà una veglia per la Pace, e io voglio dire a chi ci accusa di coltivare un sogno, un’utopia, che il sogno e l’utopia riguardano qualcosa che non è ancora avvenuto, qualcosa che c’è nella fantasia, nel desiderio, nel bisogno, ma non c’è nella realtà.  Eppure questo qualcosa può avvenire quando il sogno e l’utopia si muovono sulle gambe delle donne e degli uomini in carne ed ossa, ed allora la fantasia, il desiderio, il bisogno può diventare realtà. E questo si può fare se c’è l’impegno comune, se c’è una lotta unitaria, se si allarga il più possibile il fronte del cessate il fuoco e della trattativa. Questo è il compito vostro, il compito nostro.
Questo è l’orizzonte verso cui ci siamo mossi, ci muoviamo e ci muoveremo perché non ci rassegniamo. Il più grande crimine di guerra è la guerra. Ha detto Papa Francesco “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra”. Questo chiediamo ai governi europei, al governo italiano: siate coraggiosi, siate autonomi, siate liberi. 
Ma oggi io mi chiedo e vi chiedo anche di questa nostra Italia, questa Italia con quasi sei milioni di persone ben al di sotto della soglia di povertà , con l’inflazione al 10%, mi chiedo di questa Italia sempre più fondata sul lavoro mal retribuito e precario e sulla flat-tax, l’Italia degli infermieri e dei dottori che hanno perso la vita per assistere i pazienti di Covid, mi chiedo dell’Italia degli studenti del Liceo Michelangelo di Firenze aggrediti da una squadraccia fascista, l’Italia del ministro dell’Istruzione che tace su questa aggressione e minaccia la Preside del Liceo per la sua bellissima lettera agli studenti, mi chiedo di questa Italia che nonostante tutto studia, lavora e si impegna. Mi chiedo e vi chiedo se questo nostro bellissimo Paese oggi è in guerra o oggi non è in guerra. 
Concludo. Con la guerra non potremo fare più niente. Con la pace potremo fare tutto. Caro governo russo che hai invaso un altro Paese, caro governo ucraino, caro governo americano, cari governi europei, caro governo italiano, voi dovete la pace. La dovete ai ragazzi e alle ragazze che stanno morendo in Ucraina, la dovete anche ai ragazzi russi che stanno al fronte, la dovete ai nostri ragazzi, ai ragazzi del mondo, perché il mondo è il loro futuro, e nessuna guerra, nessun governo, nessuno di voi ha il diritto di negare loro il futuro di un mondo migliore. 
 

Gianfranco Pagliarulo

MIlano, Piazza S.Stefano, 24 febbraio 2023