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Ricordando Danilo Dolci

18 febbraio 2014 - ore 16,00

c/o Aula Magna del Liceo delle Scienze Umane “Fabrizio De André” - Brescia

Incontro con Amico Dolci

figlio di DANILO DOLCI

Danilo Dolci è stato un sociologo, poeta educatore e attivista della nonviolenza. Dopo essere cresciuto ed aver vissuto in Lombardia a 28 anni si trasferì in Sicilia dove dal 1952 cominciò le sue battaglie nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti ed il lavoro. Le sue lotte avevano una grande cassa di risonanza in quanto spesso cozzavano con “l’Ordine Costituito” dell’epoca; alcuni esempi tangibili furono: lo sciopero della fame che nel 1952 iniziò per protestare per la morte di un bambino morto per denutrizione; o quando nel 1956 in un piccolo centro della Sicilia, più di mille persone scioperarono con lui contro la pesca di frodo che era addirittura conosciuta e tollerata dallo Stato che infatti fece sciogliere la manifestazione pacifica.

Eclatante fu “lo sciopero alla rovescia”, sempre nel 1956: Danilo sosteneva che se un operaio per scioperare si asteneva dal lavoro un disoccupato poteva benissimo scioperare lavorando: fu in quel momento che centinaia e centinaia di disoccupati, pacificamente, si attivarono per rendere agibile una strada comunale abbandonata, ma anche in quel caso lo Stato si dimostrò contrario e Danilo Dolci venne addirittura arrestato.

Nel contempo si intensificò la sua denuncia del fenomeno mafioso con accuse a politici della politica siciliana: la sua fama uscì dai confini nazionali e, nonostante in Italia alcune organizzazioni lo identificassero come un pericolo sovversivo, personaggi di enorme spessore come Carlo Levi, Ignazio Silone, Jean Piaget, Bertrand Russel gli dimostravano attestazioni di stima.

Per capire meglio la persona basti citare l’arringa di Pietro Calamandrei, grande giurista che lo difese in occasione del processo relativo allo “sciopero alla rovescia”: “Il pubblico Ministero ha detto che i giudici non devono tenere conto delle “correnti di pensiero”. Ma cosa sono le leggi se non esse stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta (…) invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarci entrare l’aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue il nostro pianto. Altrimenti le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinchè diventino sante esse vanno riempite con la nostra volontà”.