Risoluzione della Commissione cultura della Camera per il 70° della Resistenza
Sul 70° della Liberazione, la Commissione Cultura della Camera il 17 marzo scorso, ha approvato (prima firma quella dell'on. Manuela Ghizzoni) il documento conclusivo di un dibattito parlamentare intenso e partecipato che risulta arricchito rispetto al testo originario.
In Commissione - spiega l'on. Ghizzoni - si è lavorato per favore una sintesi condivisa, al fine di perseguire un preciso obiettivo politico: giungere ad una approvazione la più ampia possibile, per non permettere che i valori fondativi dell'unità nazionale, insiti nella Lotta di Liberazione e nella Resistenza, divenissero campo di diatriba partitica.
"È quindi con soddisfazione che va accolta l'approvazione della risoluzione con il voto favorevole di tutti i gruppi e la sola astensione della Lega Nord. Vigileremo, da ora in poi, affinché il Governo ottemperi ai molti impegni assunti con l'approvazione della risoluzione".
Risoluzione n. 8-00100 Ghizzoni ed altri approvata dalla VII Commissione il 17 marzo 2015
La VII Commissione,
premesso che: l’Italia si appresta a celebrare il Settantesimo anniversario della Resistenza e della Guerra di liberazione;
l’azione e gli interventi che saranno promossi per affrontare questo appuntamento – ricco di significato per la storia recente della Nazione – dovrebbero svolgersi secondo il sapiente intreccio di storia e memoria che, secondo gli indirizzi storiografici più attuali e avvertiti, non possono essere considerati come sovrapponibili.
Fare storia, in senso attivo, significa infatti sottoporre a continua ricerca le conoscenze, saper adottare prospettive nuove, riuscire ad illuminare gli angoli lasciati in ombra, mentre l’azione di memoria rende partecipi di un processo che è di conoscenza, ma anche di presa in carico e di responsabilità.
È, peraltro, dalla combinazione di passione civile e di rigore scientifico e culturale – cioè di storia e memoria – che può costruirsi un orizzonte comune in cui la conoscenza del passato costituisce fonte di un progetto futuro; la ricorrenza del Settantesimo della Liberazione dovrebbe diventare propulsore di ricerche che si muovano ancor più verso un orizzonte nazionale, in grado di valorizzare quanto già svolto a livello locale, per non disperdere il patrimonio di informazioni e studi che in questi anni, data la peculiarità della nostra storia, si è accumulato su temi e fenomeni specifici.
Dovrebbe quindi diventare una occasione per portare a sintesi, con una prospettiva nazionale, gli sforzi che a carattere locale sono già stati compiuti; è necessario attribuire un significato storico alla ricorrenza, perché diventi occasione di rivisitare criticamente i grandi fenomeni storici – sottraendoli alle dispute del dibattito politico – quali, ad esempio, il rapporto tra Resistenza armata e le diverse forme di resistenza civile non armata, o gli spostamenti forzati di popolazioni con l’esito drammatico delle diverse deportazioni che hanno dato luogo, in Italia più che altrove, ad un intreccio corposo tra Resistenza e deportazione, che è stato studiato nei due singoli versanti, ma che occorre indagare anche là dove si compongono; le ricerche, la divulgazione e gli interventi didattici messi in campo nel Settantesimo - e ispirati alla rigorosa tutela della libertà di studio e di ricerca - dovranno riuscire a rappresentare il significato profondo dell’antifascismo e dell’esperienza resistenziale, per trasferire la ricchezza progettuale di quel portato nel nostro presente dando nuovo slancio alla ricerca e all’agire civico; le celebrazioni dovrebbero costituire non il fine ma il "mezzo per", cioè dovrebbero farsi punto di partenza per dare impulso alla ricerca rigorosa, non agiografica o retorica, di quanto è accaduto, sia per aprire nuove piste di lavoro, sia per rileggere le vicende con occhi diversi.
La distanza che separa da quegli avvenimenti permette di poterli osservare in modo laico, ma non per questo meno partecipe; Alcuni ambiti sembrano, in questa prospettiva, emergenti:
a) la ricerca storica della Resistenza nel Mezzogiorno, relativa ai territori italiani liberati dagli Alleati: sono conosciute le 4 giornate di Napoli, mentre sono molti gli episodi non noti, e quindi da indagare, che hanno attraversato i territori del Centro e del Sud d’Italia per contrastare le azioni di repressione, di violenza inaudita - eccidi e stragi - e di razzie di impianti industriali e produttivi oltre. La conoscenza limitata di questi fenomeni ha determinato una visione parziale, quando non frantumata, della storia più recente del Paese;
b) il tema delle stragi nazifasciste, affrontato troppo spesso come indagine di storia locale, e quindi strettamente connessa ad un territorio, piuttosto che in modo sistematico e complessivo, come sarebbe invece necessario per comprendere la strategia di cui le singole stragi, attuate nel corso del conflitto, sono parte. In questi ultimi anni, grazie al sensibile impegno delle procure militari, i procedimenti penali a carico dei responsabili di molte stragi nazifasciste, sono stati aperti nelle aule dei tribunali, anche per l'impegno delle istituzioni e delle comunità dei territori coinvolti e per l'opera di sensibilizzazione e collaborazione dell'ANPI e delle altre Associazioni partigiane; ma molti procedimenti rischiano di restare senza esito e i fascicoli ritrovati nel cosiddetto «Armadio della vergogna» potrebbero essere richiusi di nuovo.
A questo proposito, sul prolungato occultamento di tali fascicoli sono di grande interesse le relazioni conclusive della relativa Commissione Bicamerale d'inchiesta, che però il Parlamento in seduta plenaria non discusse: le valutazioni e le proposte della Commissione potrebbero contribuire a colmare un vuoto vergognoso della nostra storia recente, anche per riparare tardivamente alla memoria personale e collettiva delle migliaia di vittime (la stima oscilla tra 15 - 20.000).
L’indagine storica, che non vuole formulare giudizi, può raggiungere una «verità aperta» e fornire la comprensione complessiva del fenomeno, così come può contribuire concretamente alla formazione civile delle nuove generazioni. A tal fine occorrerebbe affrontare sia una indagine quantitativa, mappando geograficamente sul territorio il fenomeno, sia qualitativa ricostruendo, là dove possibile, i profili umani e intellettuali delle vittime nonché le ripercussioni sulle comunità. Le storie di vita, quando sono una scelta metodologica praticabile, permettono di rompere la rigidità delle interpretazioni e di dare corpo ad una storia che rischia di apparire lontana e astratta. Il tema delle stragi, inoltre, richiama una necessaria riflessione sulla violenza, in particolare quella esercitata sui civili, che è stata la cifra della guerra nel XX secolo e che ha avuto strascichi carichi di altrettanta violenza nella difficile transizione dalla dittatura alla democrazia. In particolar modo nei territori dove l’occupazione è stata più brutale, vendette e rappresaglie sono avvenute nel primo dopoguerra contro sacerdoti, civili e appartenenti alla RSI;
c) nel suo complesso, portare alla luce agenti storici dell’antifascismo e della Resistenza armata e non armata, lasciati ai margini della ricostruzione dei grandi eventi, quali – ad esempio — i civili, le donne, i deportati razziali e politici, gli IMI (internati militari italiani): i molteplici modi e le forme di opposizione al regime fasciata e all’occupazione nazista espresse dalle azioni di questi soggetti, ma anche le loro vicende di deportazione, godono ancora oggi di studi limitati e parziali. La biografia, la definizione del percorso di vita, raccolta con l’obiettivo di costruire di una banca dati aperta a sempre nuove acquisizioni, può costituire lo strumento di analisi su cui poi innescare un lavoro di ricostruzione storiografica. Analoga luce va portata sulle scelte e sulle vicende personali e collettive di coloro i quali sostennero il regime fascista e collaborarono con gli occupanti, al fine di restituire un quadro interpretativo non ideologico e complessivo;
d) la fisicità dei luoghi che sono stati teatro di fatti cruenti legati all’antifascismo, alla deportazione razziale e politica, al movimento resistenziale e alla Guerra di Liberazione mantiene, nel tempo, una capacità evocativa che è in grado di rende visibile ciò che non lo è, cioè la storia, e al contempo di preservarla tenacemente contro l’oblio. Sono elementi simbolici della comunità, inseriti in un territorio specifico, che finiscono per caratterizzarlo in maniera forte con la loro presenza.
Nei luoghi ci si riconosce, il passato e il presente si saldano. Per questo la loro importanza va oltre la conoscenza dei fatti cui rimandano, perché la loro funzione non è solo storica ma identitaria. Molti luoghi di «memoria» restano inscritti esclusivamente in un contesto locale, alcuni lo travalicano e appartengono alla storia del nostro Paese per la funzione che ebbero nel corso della Seconda Guerra, per quello che rappresentarono successivamente. È chiaro che il luogo di memoria nasce dal lavorio del tempo, ma soprattutto dalla volontà degli uomini e delle donne che, prendendosi cura delle pietre, intendono custodire la memoria delle storie che esse racchiudono.
Oggi è urgente definire un lessico della memoria, a partire dalla individuazione dei luoghi legati al secondo conflitto: per essi andrebbe dedicato uno strumento di conoscenza di base, quale la schedatura con parametri uniformi per tutto il territorio, garantendo quindi la possibilità di riconoscere tali luoghi e renderli rintracciabili; al contempo si dovrà ricostruire, per quanto possibile, una mappa di ciò che non c’è più.
L’obiettivo è di salvare ciò che resta e conoscere ciò che si è perso. Sui luoghi, che permettono l’incontro fruttuoso tra la ricerca, la divulgazione e il lavoro pedagogico, bisogna investire perché sono una risorsa per la storia e un monito per la memoria.
A tale proposito, il criterio per la individuazione dei “luoghi della memoria” potrebbe essere la contemporanea presenza di reperti e vestigia degli eventi - o strutture moderne che ne siano testimonianza – e di istituzioni, enti ed organismi attivi nella tutela di tale patrimonio e nella promozione continuativa di ricerche e di attività di divulgazione;
la lotta di Liberazione fu un movimento collettivo, somma di tante scelte individuali di donne e uomini comuni che si impegnarono per affermare i principi di libertà ed indipendenza a fronte di sofferenze e, spesso, fino al sacrificio personale. I protagonisti di quelle esperienze fondative della Repubblica meritano riconoscimento, così come la loro memoria è degna per essere trasmessa alle nuove generazioni, insieme ai valori e ai principi della Carta Costituzionale;
a sostenere materialmente i luoghi simbolici della suddetta rete – individuati dal MIBACT mediante i criteri citati al punto d) delle premesse – e che potrebbero rappresentare i lemmi del “lessico della memoria”, da implementare ed arricchire: - luoghi simbolici della deportazione (come Binario 21 a Milano); luoghi di concentramento e di transito (quali, ad esempio, la Risiera di San Sabba, il campo di Fossoli di Carpi, Borgo San Dalmazzo); luoghi della rete di salvataggio e di protezione (come, ad esempio, Villa Emma di Nonantola); - luoghi e percorsi della Resistenza (come, ad esempio, l'Istituto Alcide Cervi, la Borgata Paraloup (CN), i percorsi della Linea Gotica, quelli delle Repubbliche partigiane dell'Ossola e di Montefiorino, l'ambito d'azione della formazione Gruppo Patrioti della Maiella); luoghi di reclusione e di violenza (come il Museo di Via Tasso a Roma e l'Hotel Regno di Milano); - luoghi delle stragi di civili (quali le Fosse Ardeatine, il Parco regionale di Monte Sole, Sant'Anna di Stazzema, Boves...);
ad assicurare all'Archivio Centrale dello Stato le risorse e le collaborazioni per il riordino, l'inventariazione e la digitalizzazione del consistente materiale documentale relativo al riconoscimento della qualifica di partigiano o di patriota, quali intervento prodromico al conferimento di una attestazione di riconoscimento e di gratitudine a quanti hanno contribuito alla lotta di Liberazione; a promuovere azioni che mettano in luce la Resistenza e l’antifascismo quali radici dell’unità europea, da portare oggi a compimento; utilizzare il patrimonio etico, storico e culturale antifascista per promuovere progetti che contrastino oggi nuove forme di razzismo, antisemitismo, islamofobia, antigitanismo; a sostenere programmi e progetti che partendo dalla conoscenza del conflitto passato consentano di far riflettere le nuove generazioni sull’attualità, sulla gestione dei conflitti attraverso il confronto verbale e, dunque, mediante la promozione di percorsi di dialogo e pace.
(8-00100) «Ghizzoni, D'Ottavio, Gribaudo, Coscia, Ascani, Blazina, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, Incerti, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Rampi, Rocchi, Andrea Romano, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli».